L’Osservatorio mensile della Cisl su cassa integrazione e occupazione
, evidenzia come da febbraio, il numero di ore di cassa integrazione autorizzate sia ripreso a salire, con un aumento del 29% in marzo, raggiungendo le 122,6 milioni di ore.
L’aspetto preoccupante è che ad aumentare è stata, soprattutto la cigs (cassa integrazione guadagni straordinaria), ossia quella dalla quale è più difficile rientrare al lavoro. Il peggioramento è dovuto al settore meccanico, dove la cigs cresce del 60%, e rappresenta oltre la metà delle ore autorizzate nell’industria. Nel commercio, la cigs aumenta del 39%.
Ad allarmare, però, è soprattutto il fatto che la Cigs abbia superato la Cigo (ossia la cassa integrazione ordinaria, da dove è praticamente scontato che si possa rientrare). Questo vuol dire che sono in atto profonde ristrutturazioni aziendali. La conseguenza sarà che a crisi superata gli occupati saranno meno di quando è iniziata. Inoltre, si stanno perdendo contratti a tempo indeterminato, che verranno sostituiti con contratti a progetto o a tempo determinato. Creando un mondo del lavoro ancora più precario. Questa incertezza influenzerà negativamente i consumi, rappresentando, quindi, una zavorra per la ripresa e lo sviluppo.
La riforma del lavoro fatta in Italia è tutta sbilanciata verso la flessibilità, ed ha tralasciato completamente la sicurezza. Questo ha generato un doppio problema: uno sociale, perché i giovani hanno difficoltà a progettare il loro futuro, e uno economico, perché l’incertezza contrae i consumi interni. In effetti, la perdita del contratto a tempo indeterminato non è stata bilanciata da un sistema di ammortizzatori sociali e di riqualificazione professionale.
Il lavoro temporaneo in Italia, venne introdotto dalla legge Treu nel 1997, dall’allora Governo Prodi. L’intento era di combattere il lavoro nero, aumentare l’occupazione, dare slancio e flessibilità al mercato del lavoro, accrescere la competitività delle aziende. Questa legge si ispirava al modello danese, denominato Flexicurity perché è l’unione di flessibilità e sicurezza. Là, i lavoratori licenziati percepiscono dallo Stato l’80% dell’ultimo reddito ed entrano in un percorso di riqualificazione che ne aumenta l’occupabilità. In Italia, invece, ci si è concentrati sulla flessibilità, tralasciando completamente la protezione sociale. La legge 30 del 2003 (conosciuta come legge Biagi), poi, introducendo il lavoro ripartito, a progetto, intermittente, accessorio e occasionale non ha certo migliorato la situazione. L’assenza di ammortizzatori sociali e di riqualificazione ha trasformato i lavoratori “flessibili” in precari senza futuro. Gli imprenditori hanno guadagnato la possibilità di licenziare, i politici quella di vantarsi di aver modernizzato il Paese e i poveracci, purtroppo, pagano il tutto.