Uno studio dell’OCSE, rielaborato da NENS (Nuova Economia Nuova Società) mostra come i Paesi più industrializzati del mondo hanno reagito alla crisi del biennio 2008-2009.
Dalla tabella riportata sotto e che ne racchiude i risultati (clicca per ingrandire), appare subito evidente che per Australia, Israele, Cile, Corea, Repubblica Slovacca e Svizzera i due anni di crisi non hanno causato una flessione del prodotto interno lordo. Anzi alcuni di essi (Australia e Israele) hanno continuato a crescere nonostante tutto il resto del mondo stesse vacillando. Anche Cina e India non hanno risentito della crisi, ma lo studio non ne riporta i dati perché non fanno parte dell’OCSE.
Il crollo economico, quindi, non è stato un evento ineluttabile che ha colpito tutti indistintamente.
La seconda cosa che si evidenzia è che nel periodo 2010-2012 solo 5 Paesi su 33 non riusciranno a recuperare la perdita di Pil dovuta alla crisi (2008 – 2009). L’Italia, purtroppo, farà parte di questo quintetto, composto, oltre che dal nostro Paese, da Grecia, Islanda, Irlanda e Spagna. Nel 2012 il nostro Pil sarà ancora inferiore del 2,5% rispetto al periodo pre-crisi. Quello del Portogallo, considerato il fanalino di coda d’Europa, sarà superiore dello 0,6%, quello della Germania del 4,2%, della Francia 2,8%. Altri Paesi faranno ancora meglio. Tanto per fare un altro esempio quello della Turchia sarà del 14,6%.
La nostra performance appare ancora più negativa perché pur non avendo avuto dissesti bancari e crisi finanziarie, non riusciremo a far crescere il Pil come gli altri. Da noi la recessione e la difficoltà a recuperare sono frutto di un sistema produttivo particolarmente fragile. La nostra debolezza viene da molto lontano. Infatti, il nostro Pil, negli ultimi 15 anni, è sempre cresciuto l’1% in meno della media europea. Se avessimo tenuto il ritmo del resto d’Europa avremmo un prodotto interno lordo più grande di 230 miliardi di euro e le risorse per investire nella ricerca, nelle infrastrutture e, forse, anche per abbassare le tasse.
Nell’attuale situazione un accordo fra maggioranza e opposizione per rilanciare l’economia sarebbe auspicabile. Siamo giunti vicino al punto di non ritorno. O si interviene oppure rischiamo di implodere sotto il peso del nostro debito, della nostra scarsa crescita, dell’assenza di innovazione e dei bassi salari.
La realizzazione e, soprattutto, la tenuta di un tale accordo, però, appare praticamente impossibile. I due schieramenti, infatti, potrebbero trovarsi d’accordo sulla finalità (rilanciare l’economia e l’occupazione), ma sicuramente non sulle modalità di esecuzione. Le visioni economiche dell’attuale maggioranza e opposizione divergono profondamente (com’è giusto che sia). Mentre il PDL punta su meno Stato e meno tasse (anche se poi le tasse sono aumentate), il PD è più incline a una maggiore presenza dello Stato nell’economia.
Lo scontro sarebbe inevitabile sia per come finanziare le operazioni che si vogliono intraprendere, sia su chi debba trarre i benefici maggiori da tali azioni. Tagliare sui servizi o fare una patrimoniale? Detassare gli imprenditori per facilitare nuovi investimenti, oppure detassare i lavoratori per far aumentare la domanda?
Ogni schieramento deve preoccuparsi di non perdere voti, e di accontentare base ed elettori.
La coalizione che intraprenderà la strada delle riforme necessarie per stimolare ripresa e sviluppo economico dovrà farlo da sola e secondo la sua “naturale” visione dell’economia. Con le sue ricette e assumendosene la responsabilità.
2 commenti
Ma i problemi dell’economia e del lavoro interessano veramente a questo governo?
E a un eventuale governo di sinistra?
io li vedo distanti, assenti, distratti.
comunque fate bene a evidenziare e mostrare dove stiamo andando e come.
l’opposizione sembra sembra più interessata ai bunga bunga di Berlusconi che ai reali problemi del paese, ma la sorte degli Italiani interessa veramente ai nostri politicanti? Ma si rendono conto che molti Italiani sono sulla soglia della povertà. Ma si rendono conto che i giovani lavoratori di oggi saranno dei pensionati che non potranno comprarsi neanche il pane e il latte. Ma si rendono conto che la disoccupazione ha raggiunto livelli vergognosi.