Tagliare ancora fondi alla ricerca: è la ricetta perfetta per portare a termine l’emigrazione dei laureati e dei ricercatori italiani già in atto da anni. L’Italia è un paese che non attrae più personale specializzato, laureati e dottori di ricerca per intenderci, anzi ne fabbrica pochi e molti di quei pochi partono all’estero, dove esiste meno precariato e la flessibilità è un concetto utile al mercato del lavoro e non un bieco mezzo spacciato da politici e imprenditori per elargire stipendi da fame alla maggioranza della gente. Che l’università vada riformata non è una novità e nemmeno un tabù: bisogna favorire il collegamento con le imprese, bisogna indirizzare i giovani verso facoltà integrate con il tessuto produttivo, bisogna ragionare in termini di concorrenza (almeno) europea. Non impostare un indiscriminato taglio ai fondi, utile solo a rispettare gli impegni assunti in materia di bilancio dello stato (entro il 2011 non dimentichiamolo). Insomma una seria programmazione per lo sviluppo della ricerca, basata sulla coordinazione con le imprese, sul dialogo con il personale della scuola e dell’università, con i principi di diritto allo studio e di uguale possibilità per tutti. Purtroppo l’indirizzo intrepreso dal governo va nella direzione contraria. E favorirà l’emigrazione dei ricercatori e dei laureati.
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