Emmanuel Macron entra trionfante sull’esplanade del Louvre sulle note dell’inno alla gioia, l’inno dell’Europa. Cammina composto fino al palco allestito davanti alla piramide di vetro e pronuncia un discorso senza trionfalismi, dedicato a tutti, al lavoro da compiere insieme. Emmanuel Macron è il venticinquesimo presidente della Repubblica Francese, eletto con il 66% dei voti contro Marine Le Pen del Fronte Nazionale, rimasta al 34%, un risultato al di sotto del 40%, la cifra considerata minima per parlare di un successo. Questa è stata la peggiore campagna elettorale della Quinta Repubblica francese. Una campagna lunga e insopportabile fatta di primarie fratricide, di colpi bassi a ripetizione, di assenza totale di discussione sui programmi e di ripetuti e continui attacchi personali. In questo marasma, l’ha spuntata paradossalmente il personaggio più moderato, quello che ha tenuti i toni più bassi, che non ha fatto annunci roboanti e, soprattutto, l’unico che abbia tenuto un discorso europeista.
Globalizzazione ed Europa
In quest’epoca buia, frutto di vent’anni di furberie della globalizzazione imperante, il controcanto che si sta manifestando è il sorgere degli egoismi nazionali più ciechi, quei nazionalismi che hanno causato la Brexit e permesso l’elezione di Donald Trump. Ma dietro questi muri nazionali, in realtà, si cela la stessa necessità di supremazia che ha creato la globalizzazione: gli Stati che hanno approfittato per primi del modello globale, una volta scoperto il nuovo equilibrio che quella situazione geopolitica impone, si defilano, terrorizzati dal loro stesso mostro. Anche nell’Europa continentale, questo disagio ha provocato il sorgere di movimenti populisti, partiti che predicano il ritorno ai confini e alle monete nazionali. Molto spesso questo disagio prende le forme di movimenti di protesta continua che pretendono inventare utopiche forme di democrazia diretta che non funzionerebbero nemmeno nella gestione di un condominio. In questo quadro desolante, fatto di risposte irrazionali e caratteriali a problemi reali, l’elezione francese fornisce una nuova fonte di speranza. L’elezione di Emmanuel Macron è stata presentata da lui stesso come il frutto dello spirito dell’Illuminismo, la risposta razionale a problemi reali che vanno affrontati e non nascosti sotto il tappeto con false ricette. E nel suo primo discorso da presidente eletto, Macron li ha elencati tutti: riformare il Paese, stretto in contrapposizioni novecentesche, riformare l’Europa, la nostra vera casa, e fare della Francia e dell’Europa una voce forte per incidere nelle scelte mondiali.
La fine delle ideologie
Il principale insegnamento che possiamo trarre da questa elezione, è che la classe dirigente del ventesimo secolo, quella ancorata alla contrapposizione tra destra e sinistra, è finita. Lo sapevamo già, da quando abbiamo visto le sinistre di tutta Europa praticare politiche liberali e le destre trasformarsi nei paladini delle classi operaie. Ma questa volta, con Macron, si ha l’impressione di avere oltrepassato insensati paradigmi socio-politici per arrivare alla vittoria del razionalismo e del pragmatismo. Di fronte alle ricette abusate delle destre e delle sinistre di governo tradizionali, e senza cadere negli opposti estremismi, la via indicata da Macron è quella del buon senso. Di fronte a problemi sempre più inestricabili, la soluzione da adottare è quella che segue la ragione, e non l’ideologia. Il metodo pare buono, e ha permesso di fare barriera all’estrema destra. Ora però dev’essere applicato: per prima cosa Macron deve assicurarsi una solida maggioranza alle elezioni legislative di giugno, e per seconda deve avere il coraggio e la coerenza di fare quello che ha promesso.
L’Europa che verrà
In questo quadro francese, l’Europa aspetta al bivio. Un Paese fondamentale, senza il quale l’Europa non avrebbe senso d’esistere, ha confermato la sua adesione al progetto europeo, e lo ha fatto con forza, facendo impallidire ogni detrattore dell’Unione Europea, americano, russo o europeo che sia. Ma siamo agli inizi, il problema è solo rimandato. Se tra cinque anni, la Francia di Macron fallisse, e con lei l’Europa, allora la risposta degli estremismi sarebbe ancora più violenta, e forse definitiva. Ma l’Europa può farcela. Nel giro di un anno tutte le grandi democrazie andranno al voto. Se Germania, Italia e Spagna confermeranno le forze europeiste e riformatrici al governo, così come hanno già fatto Austria e Olanda, allora il processo europeo potrà continuare e rinforzarsi. Siamo tutti d’accordo: ci vuole una seria rifondazione dell’Europa. Sono quindi solo le persone serie che la possono fare.