Questo giro di elezioni europee è molto più importante del precedente. Non so se vi ricordate le elezioni del 2014? A quel tempo la campagna elettorale era stata fatta in gran pompa. I candidati li conoscevamo, Jean-Claude Juncker per i Popolari e Martin Schulz per i Socialisti. Popolari e socialisti erano i due partiti che, dalle prime elezioni del 1979, governavano le istituzioni europee. Le elezioni furono un sostanziale pareggio e si creò una “Grande Coalizione” tra i due partiti che governò sino ad oggi, sotto la direzione di Juncker.
Il mondo è molto cambiato. Barack Obama non è più presidente degli Stati Uniti ma c’è un signore che si chiama Donal Trump (ancora stento a crederlo), la Gran Bretagna ha di fatto minacciato un Brexit senza attuarlo (e infatti, contrariamente a quanto ormai ci si aspettava, i britannici hanno partecipato a queste elezioni), ovunque in Europa l’influenza degli euroscettici è aumentata (siano essi nazionalisti o sovranisti). Siamo quindi di fronte à un bivio. Europa o non Europa?
Una campagna elettorale anomala
Questa campagna elettorale si è svolta in sordina, nei media se ne è parlato in maniera confusa, con timore o disagio, senza ben capire a cosa si andava incontro. Ora lo sappiamo: gli Europei hanno scelto di restare ragionevoli. Sebbene i populisti hanno progredito in tutti i Paesi e il partito socialista ha avuto un tracollo senza precedenti (in parte attutito dal buon risultato italiano), il Partito Popolare Europeo ha tenuto e i Verdi hanno avuto il loro miglior risultato della storia. Ciò non toglie che il disagio è ben presente e queste elezioni europee lo hanno manifestato.
Le premesse
La crisi del 2008
è sostanzialmente finita, siamo in un periodo, se non di crescita estrema, almeno di calma piatta, ma le cicatrici lasciate da questi anni sono affiorate sui nostri volti come quelle di una ciurma di pirati. Tutti odiano tutti, tra continenti, tra stati di un continente, tra religioni, tra regioni e quartieri. Senza citare il ritorno a termini razziali che sembravano scomparsi nell’Alabama degli anni 60.
Le vacche grasse promesse dalla globalizzazione hanno mosso milioni di persone e capitali, trasformando il pianeta in un mondo di disadattati (chi è emigrato non è più a casa sua, chi è a casa sua si sente minacciato), spostando saperi e saper-fare secondo una geografia inedita che cancella quella costruita in secoli di storia. La geopolitica segue il suo corso, a difesa delle materie prime e del prestigio economico, ma gli attori si sono moltiplicati. Il mondo è ormai multipolare e la leadership economica e militare è condivisa da più attori. I nazionalisti sono aumentati e, malgrado si dicano alleati, per definizione hanno interessi divergenti, rimbalzandosi le cifre dell’immigrazione e delle delocalizzazioni. Decine di profeti di sventura e nuovi censori dei costumi stanno facendo fortuna su questi temi, sfoggiando l’etichetta alla moda dei neoconservatori, dichiarandosi alternativi al mondo globalizzato e alle conquiste civili.
Pensare nazionale e pensare europeo
Nel contesto di queste premesse, si sono inserite le elezioni europee che, come ogni volta, sono state vissute più in maniera nazionale che secondo una logica europea. Ogni Paese ha fatto il solito gioco di indirizzare la campagna elettorale su temi nazionali; sopratutto i sovranisti che, per definizione, hanno interesse a galvanizzare il nazionalismo dei loro elettori.
Alcuni cittadini europei hanno partecipato a queste elezioni per rispondere a problemi nazionali, altri in un’ottica veramente europea. Che abbiamo fatto l’una o l’altra cosa, il risultato è lo stesso: abbiamo eletto un nuovo parlamento europeo che, seguendo il suo funzionamento, esprimerà una commissione europea (il governo dell’Europa) secondo una maggioranza parlamentare. La legge elettorale europea è proporzionale con sbarramento, ciò che obbliga i partiti a unirsi in colazioni per esprimere un indirizzo politico. Le famiglie sono sempre le solite: popolari, socialisti, liberali, verdi, estrema sinistra ed estrema destra. La novità di queste elezioni è l’aumento, previsto, dei deputati di estrema destra, che dovrebbero riuscire ad unirsi in un gruppo importante, ma senza possibilità di governare. Il PPE sembrerebbe essere il primo partito, ma non potrà esprimere una maggioranza con nessuno, e per governare dovrà allearsi con più partiti, probabilmente con i liberali e i verdi. Il risultato, insomma, a prescindere da quello che verrà detto dai politici locali di ogni Paese, è che nessuno ha vinto e il gioco della campagna elettorale dovrà ora lasciare il posto alle finezze delle diplomazia per governare un continente intero. Insomma il compromesso politico, quello che molti politici fanno finta di contrastare.
Cosa ci ha dato l’Europa
Un futuro incerto, quindi, ma che ci permette di riflettere per un momento su chi siamo e dove andiamo. Senza fare una storia inutile dell’Unione Europea, che si può trovare ovunque (dalla Comunità dell’Acciaio e Carbone fino ad oggi), e senza cadere nella retorica dei settant’anni senza guerra, bisogna veramente riflettere ai vantaggi dell’essersi riuniti in una specie di Super-Stato che rappresenta un’esperienza inedita nella storia. Oggi diamo per scontato tutte i vantaggi di questa esperienza politica, che non si riassumono a viaggiare senza passaporto e a non cambiare la moneta durante i viaggi. I vantaggi sono reali: esiste una coesione sempre più forte in tutti gli ambiti del vivere, dall’università alla difesa, dalla cultura ai trasporti, senza renderci conto che molte delle cose che funzionano sono merito proprio di questa coesione (chi fa impresa, lo capirà al volo). Come non citare poi i progetti che fanno incontrare le persone, l’ERASMUS in primis, e che fanno circolare le idee, i progetti, le speranze? Quello che è stato creato in questi decenni è lo spazio più ampio di democrazia, libertà, diritti sociali e civili del mondo. Vale la pena difenderlo.
Cosa vogliamo dal domani?
C’è ancora molto da fare
, non dobbiamo nascondercelo. Le pecche dell’Europa le conosciamo tutti: eccessivo potere della burocrazia e della finanza, dumping sociale e paradisi fiscali, squilibri tra Ovest ed Est, arbitrarietà dell’asse franco-tedesco. Se ne sono resi conto un po’ tutti, non solo i sovranisti. Queste elezioni sono un’occasione per cambiare la direzione troppo liberale presa negli anni ‘90 sulla scia del thatcherismo, per reindirizzare il ruolo dell’Europa nel mondo globale (che, fino a prova contraria, non si può fermare di punto in bianco).
I sovranisti hanno proposto in questi ultimi anni le ricette più disparate: uscire dall’Euro, dall’Unione Europea, bloccare le frontiere, nazionalizzare tutto. Nei pochi mesi che sono stati al governo, in Italia come in Austria, le loro posizioni si sono ammorbidite e, nel futuro parlamento, rappresentano un quarto dei deputati e saranno dunque una minoranza.
Molto probabilmente il governo sarà a geometria variabile, tra Popolari, Socialisti, Liberali e Verdi: una soluzione inedita, ancora tutta da verificare e testare. Ma l’informazione base è che i sovranisti non hanno vinto, anzi, rispetto alle premesse, hanno perso, e l’Europa può continuare ad evolvere con continuità. Evolvere verso dove? Cosa vogliamo dal domani? Un’Europa sempre più divisa e debole in un mondo globalizzato e aggressivo, oppure un’Europa federale, con un solo debito, un solo esercito, e magari un solo presidente? Per noi la risposta è semplice: uniti e più forti, per difendere i nostri valori nel mondo. E i nostri valori sono quelli che la società europea ha inventato e coltivato nei secoli: libertà, creatività, democrazia, tolleranza e diritti.