La forza di un leader si misura anche dalla sua capacità di risollevarsi dopo i fallimenti e, dopo queste ultime primarie del Partito Democratico, bisogna ammettere che Matteo Renzi ha dimostrato di avere questa capacità.
La sconfitta clamorosa della sua proposta di riforma costituzionale del 6 dicembre 2016, le lotte di potere interne, la nascita di Articolo 1 – Movimento Democratico e Progressista e la conseguente fuoriuscita dal partito di leader di lunga data (Bersani e D’Alema), sembravano aver fiaccato Renzi.
Pochi, all’indomani del risultato del referendum del 2016, credevano che Renzi sarebbe uscito a uscire dall’angolo e invece ecco l’ennesimo colpo di coda dell’ex sindaco di Firenze ora, di nuovo, segretario del Partito Democratico.
L’ultimo samurai della politica
Il governo Renzi, tra luci e (troppe) ombre, si è concluso con le dimissioni del premier dopo la sconfitta elettorale del referendum sulla riforma costituzionale. Una scelta non inusuale per Renzi, ma inedita nel panorama politico italiano.
Nessun politico in Italia si dimette dopo un fallimento, al massimo si ricicla con un nuovo partito, lui aveva scelto di fare quello che a molti è sembrato un clamoroso harakiri. Ma la scelta di assumersi le responsabilità del fallimento e di pagare in prima persona evidentemente ha avuto un impatto positivo sugli elettori del Pd.
Resta da vedere ora se Renzi, un leader europeista di centrosinistra, saprà riconquistare l’elettorato italiano attirato sempre di più dai partiti populisti ed euro-scettici.