Alle ultime elezioni politiche (tenutesi il 29 luglio 2009) c’è un Partito Democratico che ha stravinto aggiudicandosi la maggioranza assoluta dei seggi (passando da 115 a 308): il Pd giapponese. Per la prima volta il Giappone ha svoltato a sinistra rinnegando 54 anni di governo di centrodestra. Analizzando a posteriori questa vittoria si può dire che si è trattato di un cambiamento epocale, molto più radicale per esempio di quello avvenuto negli Stati Uniti con l’elezione di Obama, ma è passato praticamente inosservato al vaglio degli organi di informazione italiani. Per quale motivo?
Il Giappone non è più la superpotenza economica che era negli anni ’80. Ha attraversato e sta attraversando una crisi economica che dura da più di un decennio e stenta a risollevare la testa. Uno dei fondamenti sociali della nazione – l’impiego fisso – sotto la guida del centrodestra è entrato in crisi e, come modello di lavoro, comincia a vacillare clamorosamente. I giapponesi l’hanno vissuto come un fallimento intollerabile da parte dello schieramento politico di Taro Aso (il partito Liberal Democratico o Jimintō) che andava punito. Ma spiegare la vittoria del Pd giapponese come una sorta di vendetta sarebbe sbagliato e riduttivo.
Yukio Hatoyama, leader della formazione di centrosinistra, ha saputo dare al suo Pd un appeal irresistibile per i giapponesi. La promessa di riforme in grado di spezzare la stagnazione sociale ed economica degli ultimi decenni ha colpito nel vivo. Il Giappone è alla ricerca di un modello di sviluppo alternativo, meno “quantitativo” rispetto al passato e più a misura di uomo. Gli ottimi rapporti con Obama e la sua amministrazione hanno certamente contato ma c’è un interessante retroscena soprattutto per noi Italiani. Yukio Hatoyama ha più volte dichiarato di aver forgiato il suo partito sul modello dell’Ulivo italiano guidato da Romano Prodi. I due si conoscono e si stimano da tempo, Hatoyama ha più volte espresso il proprio apprezzamento verso Prodi arrivando a dichiarare che «con lui c’è una lunga amicizia».
L’ex presidente del Consiglio ha più volte incontrato i leader democratici giapponesi che si sono ispirati all’Ulivo per creare una forza democratica alternativa ai conservatori. Dopo la vittoria di Hatoyama, Prodi ha riferito di aver telefonato al futuro premier: «Hatoyama mi ha ricordato che una volta gli dissi “non basta vincere, poi bisogna governare”. È certo che avranno una solida maggioranza rispetto a quella che ebbi io. Mi fa estremamente piacere». Il premier uscente Taro Aso si è dimesso: una cosa inaudita per noi italiani, ma abbastanza usuale per i giapponesi. Hatoyama ha commentato così la sua vittoria: «Oggi la gente ce l’ha con la politica e con la coalizione di governo in particolare. Abbiano percepito fra i cittadini un grande diffuso desiderio di cambiare la propria vita. Abbiamo lottato in questa battaglia elettorale per dare loro un cambiamento di leadership».
“Più soldi alle famiglie per rimettere in moto l’economia”. Uno slogan logoro in Italia, ma irresistibile e (a quanto pare) concreto in Giappone. Il programma dei democratici vuol mettere mano alla spesa pubblica, limitando gli sprechi e investendo risorse sul sostegno ai consumatori, alle famiglie, con aiuti per i figli piccoli e l’esenzione dei ticket sanitari per gli ultra 75enni, e alle piccole e medie imprese. Fondamentale la volontà di arginare il precariato che investe oltre un terzo dei lavoratori (erano un quinto nel 1990!). L’analisi sulle elezioni giapponesi del Dipartimento Esteri del Pd italiano si potrebbe sintetizzare così: «Si apre un’epoca nuova nella vita politica del Giappone. Dopo le vittorie di Barak Obama e di Sonia Gandhi, un altro segnale forte di cambiamento, gli elettori tornano a votare per chi propone loro coesione sociale, dignità del lavoro, tutela dei diritti e maggiori opportunità di vita. Sono gli assi portanti di una politica riformista che, anche in Italia, può consentire al Partito Democratico di riconquistare consensi e fiducia dei cittadini». Si prefigura quindi un modello condiviso di centrosinistra su cui vale la pena di riflettere seriamente che, però, stenta a decollare nel Vecchio Continente. Per quale motivo? Le segreterie dei partiti di centrosinistra europei si interrogano senza trovare risposta, nel frattempo il Pd italiano litiga sui nomi dei candidati alle regionali.