Nei secoli, l’Architettura è sempre stata l’espressione della presenza umana sul territorio. Dagli agglomerati rurali o urbani nati in forma spontanea e senza particolari regolamentazioni, ai palazzi dei nobili, agli edifici di culto, talvolta isolati nel loro sublime linguaggio metaforico, tale presenza si è resa tangibile nel senso della Permanenza: la permanenza di un tessuto edilizio, la permanenza di un edificio di particolare importanza, la permanenza di un linguaggio tale da rimandare al mondo delle cose invisibili.
Permanenza come concetto di immutabilità: ciò che si costruiva doveva rimanere; e rimanere sempre uguale a se stesso. Non era progettato per essere trasformato, non era progettato per deperire e diventare poi parte di un nuovo processo costruttivo, anche se nei fatti era uso comune sfruttare elementi appartenenti ad alcuni edifici dismessi per costruirne altri. Ma non era qualcosa di programmato, né a priori né a posteriori, semplicemente faceva parte del normale ciclo di adattamento e risparmio che si poneva come imperativo di fronte alle comunità di persone.
L’aumento demografico e gli insediamenti abitativi
Negli ultimi secoli – e in particolar modo dall’Ottocento a oggi, con andamento esponenziale – per la prima volta nella sua storia di circa 2 milioni di anni, l’uomo si è trovato a dover fronteggiare una situazione critica: l’aumento demografico accelera, ma non è rimasta più alcuna parte del mondo inesplorata. In pratica, ciò significa che virtualmente è stata colonizzata tutta quanta la parte del pianeta “ospitale” e che d’ora in avanti l’espansione della specie umana potrà avvenire solo per accrescimento degli insediamenti già presenti, fatte salve rare eccezioni, oppure la colonizzazione di habitat che non ci appartengono per natura (si vedano i progetti avveniristici per la vita negli oceani di Jacques Rougerie), o ancora la colonizzazione di mondi differenti.
Crescita sostenibile e recupero
È piuttosto chiaro che gli attuali sistemi costruttivi e le tecnologie che utilizziamo non supportano a sufficienza il fabbisogno di nuovi edifici nel territorio già disponibile tutelando al contempo la necessità di una crescita sostenibile. Infatti, il consumo di risorse indotto è tale da creare sempre maggiori scompensi tra l’espansione numerica della specie umana e la qualità di vita legata ai suoi insediamenti.
Sorge quindi una questione della massima urgenza: la necessità di recuperare ciò che già abbiamo e di dare nuova vita in senso edilizio a elementi nati per scopi affatto differenti.
Nella nostra analisi tratteremo alcuni aspetti:
1. riutilizzo per le costruzioni di materiali già utilizzati nel medesimo settore, mediante la loro trasformazione (riciclo)
2. riutilizzo per le costruzioni di componenti prefabbricati prima non utilizzati al fine dell’occupazione da parte delle persone (riadattamento)
3. riutilizzo a fini abitativi di sistemi già destinati all’occupazione umana, ma in senso diverso da quello edilizio (trasformazione)
Il riciclo e il caso della “Glass House for diver”
Per meglio identificare le tre casistiche, si sfrutteranno esempi concreti.
1. Riciclo: Case study: “Glass house for diver” a Etajima-shi, Hiroshima, Giappone. Tetsuya Nakazono/naf architect & design, Sojo University.
Si tratta di una costruzione residenziale la cui costruzione è terminata nell’agosto 2010. Sviluppata al bordo del mare su una superficie di circa 100 m2, la peculiarità risiede nell’utilizzo come sistema strutturale di blocchi di cemento di 1,5 m3 ciascuno, aventi scanalature predisposte per il loro sollevamento tramite gru e per la possibilità di realizzare mutui incastri. I blocchi sono stati realizzati mediante un processo di vero e proprio riciclo e a costi contenuti: sono stati recuperati gli scarti di lavorazione provenienti dal confezionamento delle strutture in cemento per piattaforme marine. Per questo motivo, la produzione dei blocchi è stata lenta, dovendo per forza attendere sufficienti quantitativi di materiale di scarto.
Per rendere antisismica la costruzione, sono state accoppiate delle barre metalliche ai blocchi di cemento. La modularità del sistema costruttivo non ha peraltro pregiudicato una notevole flessibilità nell’organizzazione funzionale dell’edificio. La sua pianta si sviluppa con una forma vagamente a svastica e l’utilizzo del vetro all’interno del perimetro di cemento crea effetti cangianti a seconda dei differenti punti di vista. Le superfici levigate dell’interno e il pavimento in legno della veranda ottengono un effetto-tatami, inserito nella tipica tradizione giapponese, rimarcato dalla copertura in lamiera grecata, che tuttavia unisce alla planarità una sensazione di movimento.
Questa piccola abitazione, da vivere soprattutto di giorno e per i periodi di vacanza, è un buon esempio di connubio tra riciclo e raffinatezza, segno che il riuso non è da considerarsi legato a una produzione di seconda classe.
Nella seconda puntata di questo articolo analizzeremo separatamente gli altri due case study, che porteranno la nostra attenzione verso frontiere dell’architettura ancora ben poco esplorate e ancora più coraggiose e d’avanguardia.
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Progettista: Tetsuya Nakazono / naf architect & design, Sojo University
Committenza: Privata
Localizzazione: Etajima-shi, Hiroshima (Giappone)
Concezione delle strutture: Kenji Nawa / NAWAKENJI-M
Superficie Utile: 97 m2
Surficie del lotto: 442 m2
Lavori: 2008-2010
Crediti fotografici: Photos: © Noriyuki Yano
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