Parlare di Emilio Ambasz è sicuramente una sfida ambiziosa, al limite della presunzione. Nato in Argentina nel 1943, Ambasz ha studiato alla Princeton University e ha progettato in tutto il mondo, vincendo numerosi premi; attualmente divide il suo tempo a metà tra New York e l’Italia, utilizzando particolarmente la posta elettronica per mantenere i contatti con i suoi vari collaboratori. Non è un’Archistar: infatti, non è universalmente noto al grande pubblico. Tuttavia, è un architetto unico nel suo genere e ha segnato per molti versi la direzione di una riflessione profonda sul “fare architettura”, che sta influenzando il linguaggio di tanti progettisti di fama mondiale, come Renzo Piano, o Mario Cucinella, tra gli altri. La peculiarità di Ambasz risiede soprattutto nella speculazione riguardo al rapporto tra natura e artificio, tra l’organismo-edificio e l’organismo naturale. In questo senso, la ricerca di Ambasz si fa talvolta impalpabile, quasi sfuggente, e non si presta a una trattazione sistematica. Senza avere l’aspettativa di condurre un’analisi approfondita per gli addetti ai lavori, vogliamo qui presentare Ambasz al pubblico “esterno”, introducendo a grandi linee il suo modo di concepire l’architettura.
Un architettura fuori da ogni schema
Per approcciare il lavoro di Emilio Ambasz, bisogna necessariamente sgombrare il campo dalle idee preconcette riguardo all’architettura intesa in senso tradizionale, storica o moderna che sia, soprattutto riguardo a quell’architettura che ormai sempre più di frequente utilizza elementi vegetali come “materiali da costruzione”. In Ambasz si va oltre il mimetismo, perché il costruito, “l’artificio”, non viene nascosto alla vista mediante un apparato vegetale, bensì si fonde con esso diventando un organismo unitario. L’architetto argentino non si preoccupa in questo caso di forme o linguaggi, ma dà conto della sua conoscenza a 360° degli stilemi architettonici, utilizzandoli in modo variegato e – si potrebbe dire – “piegandoli” alle esigenze del risultato finale.
Il Barbie Knoll Museum
Nel progetto per il Barbie Knoll Museum (1995, Pasadena – California, USA) Ambasz realizza un progetto paesaggistico in cui la struttura ipogea è segnalata solo da una fila di cariatidi che evocano il sublime insito nell’idealizzazione classicheggiante. L’elemento più sorprendente è rappresentato proprio dalle cariatidi, che in questo caso non sono figure asettiche, ma ben radicate nell’immaginario collettivo: si tratta di enormi Barbie, a cui il museo stesso è dedicato. Ambasz si slega così completamente dalle regole del “bon-ton” progettuale, fa suo un certo gusto kitsch, ma – come spiegherà lui – giustificandolo proprio tramite il significato fortemente evocativo dell’immagine stessa. Ambasz si dimostra in grado di cambiare sempre approccio pratico, mantenendo invece fermo l’approccio ideale della ricerca di armonia in ogni sua opera, armonia in particolar modo tra natura e artificio, che diventa decisamente una sua interpretazione poetica della realtà.
La Prefettura Internazionale di Fukuoka
Il progetto (realizzato) per la Prefettura Internazionale di Fukuoka, in Giappone, che precede di 5 anni il progetto del Barbie Knoll Museum, dimostra una concretezza quasi prepotente, nell’integrare con metodo e determinazione centinaia, migliaia di essenze arboree sul fronte principale di quest’immenso edificio, inclinato e a gradoni come una piramide azteca, icona a cui probabilmente Ambasz deve più che una blanda ispirazione: il parallelismo tra le funzioni pubbliche dell’edificio nuovo e del monumento dell’antichità appare quantomeno evidente.
Dall’ospedale di Venezia-Mestre alla Plaza Mayor di Salamanca
Nel complesso della Banca dell’Occhio e dell’Ospedale di Venezia-Mestre, Ambasz esprime ancora la sua tendenza a progettare per forme pure ed evocative, ribaltando però il rapporto di forza nel dialogo con la natura, la quale in questo caso riveste un ruolo importante ma più intimistico, facendosi inglobare all’interno degli edifici (nel caso dell’Ospedale) per intessere un rapporto diretto con l’utenza. Con maestria progettuale, Ambasz dimostra chiaramente le sue abilità compositive, come accade nel progetto concettualmente semplice ma di grande effetto della Plaza Mayor di Salamanca, trasformata in un teatro verde, a gradinate, che lascia intatta la vista delle bellissime facciate barocche che la racchiudono, godibili attraverso la cortina degli alberi di nuova piantumazione, mentre gli ambienti funzionali vengono spostati tutti sotto il livello del suolo.
Le residenze: la Casa de Retiro Espiritual a Siviglia
Tra progetti di residenze, torri ed edifici rappresentativi, Ambasz giunge al suo culmine progettuale con la Casa de Retiro Espiritual (immagine qui sopra), forse il suo “testamento poetico”, realizzata a Siviglia (Spagna). Un acme in realtà pregresso rispetto a molte altre sue composizioni, trattandosi di un progetto del 1975; forse, il segno premonitore di una grande personalità che stava per emergere sul panorama architettonico mondiale. La Casa si sviluppa a livello ipogeo, ma spicca ben oltre il livello del terreno con un grande setto a “L”, bianco ed ermetico, come una schermatura, come una superficie su cui proiettare pensieri ed emozioni. Gli ambienti abitativi risultano protetti, ma l’edificio grida il suo silente richiamo nel paesaggio circostante, manifesta la sua presenza nel momento stesso in cui la cela, suggerisce la sua appartenenza al luogo pur nascondendosi sottoterra. Ermetico come il terrazzo nero che per contrasto si estrude al di fuori della superficie candida, questo luogo ispira riflessioni contrastanti, pace e armonia insieme a un filo impalpabile di tensione, aprendo un dialogo con il contesto, ma con un linguaggio in codice, comprensibile forse solo alla natura e a chi, come Ambasz, ne riesce a cogliere l’intima essenza.