Quando una gara a tre si riduce a due prima ancora dell’inizio vuol dire una sola cosa: è falsata. Mi riferisco alle primarie del Partito Democratico a cui, ufficialmente, partecipano tre contendenti (Bersani, Franceschini e Marino) ma praticamente solo due sono ragionevolmente candidati a vincere (Bersani e Franceschini). Perché? Qualcuno ha incolpato lo statuto del Pd che non brilla certo per funzionalità e, diciamolo pure, è un gran papocchio fatto apposta per cavillare su ogni questione ed escludere chi da fastidio ai suoi estensori.
Ignazio Marino, sfortunatamente per lui, pare dia parecchio fastidio a chi tiene il timore del Partito Democratico. Forse perché non propone di riesumare il cadavere dell’Ulivo (che aveva concluso la sua ultima parentesi di governo pugnalato dei suoi stessi “alleati”…), forse perché non pretende di tenersi buona l’ala cattolica e l’Udc, forse perché guarda alla laicità come a un valore primario e irrinunciabile per un partito di sinistra (è ancora di sinistra il Pd?), forse perché non ha alle spalle né D’Alema, né Veltroni. Insomma, sulla carta è fuori dai giochi ed è un vero peccato. Ad ascoltarlo, il dottor Marino, si capisce subito che è una persona seria e che seriamente ha riflettuto su quei temi che dovrebbero stare al centro di un partito di sinistra: la laicità dello Stato, l’educazione, la cultura, il lavoro, la famiglia, gli ammortizzatori sociali, il salario minimo. Difficile dimenticare la sua esemplare (perlomeno così riteniamo noi) presa di posizione sulla questione Englaro, dell’eutanasia e della legge contro l’omofobia. Marino ha avuto il coraggio di dire cosa dovrebbe fare un partito di sinistra stanco di elemosinare i voti dei cattolici e l’approvazione della Santa Sede. Ed è per questo motivo che è stato escluso.
Nella prima fase delle primarie hanno già espresso le loro preferenze gli iscritti al partito e, a quanto pare, Bersani è indiscutibilmente il loro preferito. I circoli hanno parlato forse (come sostiene qualche maligno) imbeccati dal buon D’Alema, forse mossi da una sincera passione per quest’uomo che – consentiteci di dirlo – rappresenta tutto fuorché una sinistra moderna: ma forse a lui essere moderno e di sinistra importa ben poco. Ha fatto delle privatizzazioni il suo cavallo di battaglia sbandierandole come cosa buona e giusta a prescindere da qualsiasi valutazione sulla svendita del patrimonio pubblico, sulla sua valorizzazione e questo, va detto chiaro e tondo, non è proprio un “atteggiamento di sinistra”. L’Ulivo per lui, nonostante tutto, è ancora una risposta allo strapotere del centrodestra e sembra aver rimosso tutti i gravissimi difetti di quell’esperienza politica: le litigiosità interne, le lotte di potere, le alleanze impossibili (intendiamoci: sono difetti che il Pd ha ereditato in blocco).
Il Partito Democratico che nasceva per superare l’Ulivo ora dovrebbe tornare indietro? Questo sarebbe un ragionamento rivolto al futuro? A noi pare più il rimpianto ottuso, stantio e nostalgico di qualcosa che non c’è più e non può più tornare se non in una forma mostruosa e grottesca.
Poi, non giriamoci troppo attorno, Bersani vanta il peggior sostenitore all’interno di tutto il Pd: Massimo D’Alema. Su questo personaggio si è detto molto, anche che fu uno dei principali complici (forse involontario) dell’ascesa di Silvio Berlusconi, ma ognuno si sarà fatto un suo parere su di lui e quindi ci limito a segnalare la sua presenza alle spalle di Bersani. Dulcis in fundo i famigerati Bassolino e Loiero candidati nella lista Bersani: come la mettiamo?
Arriviamo poi a Franceschini. Nei mesi in cui è stato segretario del partito ha avuto alti e bassi, ma soprattutto è riuscito a emergere con incisività sulla scena politica. Lo si ascoltava perché rappresentava il principale partito di opposizione, ma l’impressione che lasciava era piuttosto desolante: un brav’uomo, molto intelligente, che però manca del carisma necessario a fare il leader politico. Il suo predecessore Veltroni – acclamato dagli elettori dell’Ulivo smarriti e infuriati per come era finito l’ultimo governo Prodi – gli ha lasciato in eredità anche una certa debolezza di toni, di atteggiamenti, di posizioni che lui sta cercando di superare facendo la faccia dura. Forse il suo status attuale di segretario a scadenza (doveva infatti sostituire Veltroni fino alle primarie) non gli ha permesso di mostrarsi come avrebbe voluto negli scorsi mesi, forse non sa fare di meglio. Difficile dirlo, è un azzardo ma è un rischio che – in alternativa a Bersani – forse conviene tentare. Con lui si sono schierati molti giovani promettenti del partito che sperano possa finalmente svecchiare la sinistra italiana.
La risposta a tutte queste domande arriverà con le primarie. Lì, nel caso non l’aveste capito, si deciderà se è il caso di cantare il de profundis al Pd oppure se ci si può veramente schierare dietro la sua bandiera.