Ad oggi, questo museo è considerato uno tra i musei più prestigiosi e significativi di Francia, secondo solamente al Louvre grazie alle sue preziose raccolte custodite al suo sfarzoso interno. Enrico D’Orlèans, suo antico proprietario, infatti, fu un proficuo e appassionato collezionista di opere d’arte, quadri e letteratura. Grazie al suo status riuscì ad accumulare nel Castello una collezione tra le cui opere si possono trovare lavori di grandi artisti come Raffaello, Botticelli, Filippino Lippi, Van Dyck, Veronese, Delacroix e Géricault.Al valore incalcolabile delle numerose opere d’arte presenti nell’ambito di questa unica collezione, il castello aggiunge fascino alla bellezza grazie ai suoi lussuosi appartamenti: ci sono quelli “Grandi” con sale da cerimonia, stupendi affreschi e lussuose decorazioni in oro e avorio in puro stile rococò e quelli “Piccoli”in pratica le stanze private di coloro che dimoravano nel castello, che sono invece più moderne, e rispecchiano i gusti estetici delle alte classi sociali del XIX secolo.
Al di fuori c’è un grande spazio verde tra giardini all’inglese e alla francese, e in mezzo a questi c’è la Capitainerie, il ristorante famosissimo del castello dove pare che sia stata inventata la famosa crema Chantilly che prende ovviamente nome dall’antico maniero.I francesi, naturallemente, ci tengono a ripetere che questa deliziosa crema sia nata qui grazie a Luigi XIV ma è la solita, scusabile leggenda metropolitana per non deludere i turisti: sanno tutti che a portarla in Francia e in queste contrade è stata Caterina de’ Medici. Ma francamente, quando ci si trova lì, nella stanzetta dalle forme gotiche in fondo alle sale del ristorante della CAPITAINERIE, di tutte queste disquisizioni non è che ti importi molto e vuoi solo assaggiare la douce mousse.
Mentre aspetto che un cameriere prenda l’ordinazione non può che venirmi in mente, dati gli arredi e il contesto, nientepopodimeno che François Vatel nella celebre interpretazione filmica di Gèrard Depardieu . Ricordo perfettamente la trama, ambientata nel 1691, quando il principe di Condé (Julian Glover), caduto in disgrazia, tenta l’ultima carta per ingraziarsi il suo re, Louis XIV. Per questo motivo affida al suo devoto e fedele intendente François Vatel (eccolo il nostro Gerard) l’organizzazione della “più grande festa del secolo” nel suo castello di Chantilly. Il re con tutta la sua corte, all’incirca 2000 persone, saranno ospiti per tre giorni e conseguenti notti del principe di Condé e Vatel dà il meglio di se stesso in banchetti fastosi e spettacolari, di decine di portate, scenografiche tavole imbandite, spettacoli musicali, fuochi d’artificio. Solo pensando agli elaborati manicaretti esotici che preparava e alle sensazioni che si provavanoal solo vederli sullo schermo mi viene l’acquolina in bocca. Ed è quindi con non poca aspettativa che aspetto la mia porzione di dolce ormai ordinata da una buna mezz’oretta.
Le cose buone valgono l’attesa e finalmente mi viene portata una graziosa ciotola in porcellana (anche l’occhio vuole la sua parte!) dove al di sotto c’è uno strato di fragoline di bosco e al di sopra….. Beh, non servono molte parole: al di sopra c’è il Paradiso: delicata, sofficissima, dolce al limite dell’insostenibile, dato il peso e la consistenza e, al tempo stesso, soavemente fragrante.
Per non farvi rimanere completamente a bocca asciutta ecco la ricetta:
Crème Chantilly e fragoline di bosco
Ingredienti per 6 persone
60 g zucchero al velo
1 cucchiaino estratto di vaniglia
4 vaschette di fragoline di bosco
Lavate bene le fragoline di bosco e mettetele ad asciugare su di un canovaccio pulito.
Aggiungete per ultimo lo zucchero e l’estratto di vaniglia.
Mettete le fragoline in una ciotola di cristallo, ricopritele tutte con la crème Chantilly e servite subito.
Buon Paradiso ops buon appetito!
Champagne e Alsazia
Ah, Champagne, terra di vigneti innondati di sole, dolci declivi, profumo di grano! È nelle tue terre luminose che si avverte anche un sottile senso di malinconia: spinge lo sguardo oltre la campagna ondulata fino alle foreste delle Argonne, si inerpica sulle brune pendici dei Vosgi. L’emozione si mescola ai ricordi storici: è qui che l ultimo re di Francia, Luigi XVI e la sua famiglia, furono fermati nel loro ultimo ed estremo tentativo di scappare dalla Francia, squassata dalla Rivoluzione. È qui, nella maestosa e solenne cattedrale di Reims, che vennero incoronati per ben tredici secoli i re di Francia, dal 511 al 1825, e la sacralità del luogo si avverte nello slancio verticale della pietra, nell’asperità frastagliata delle cuspidi, nelle mirabili statue di Angeli e Santi che sembrano benedire, da secoli antichi, l’umanità sottostante riunita in dolente preghiera.
E poi, più in là, oltre il massiccio del Vosgi, lo sguardo si spinge ancora abbracciando il mosso paesaggio della Lorena, dove nelle campagne i fiumi tracciano solchi d argento fra le alte erbe estive, appena a oriente scorre placido il Reno. E ancora piccoli borghi di case a graticcio con balconi fioriti inbevuti di sole e stradine acciottolate e serrate strette strette fra loro, dove a mostrare il cammino è un solitario raggio di luce, fuggito dalle imposte accostate di una finestra socchiusa. Il miracolo di questa natura così avvolgente e lussureggiante lo si avverte, infine, nei nidi cicogna che si trovano sul tetto di ogni casa o quasi, simbolo della vita che continua e si perpetua come un continuo e gioioso canto, lungo le laboriose vie del paese.
Bretagna
Qui si nasce con l’acqua di mare intorno al cuore, recita un antico proverbio bretone e non c è nulla di più vero nel mistero velato di questa terra di confine . Una terra dura, frutto di millenni e millenni di erosione di un territorio fatto di creta e argilla bruna, abitata da gente riservata e di poche parole. Verrebbe da dire che ci si trova in una regione di confine senza un preciso stacco geografico a marcare i paesaggi fra Francia e Fiandre spagnole, l’attuale Belgio. Di quest’aspra geografia si fanno storia e testimonianza le numerose città fortificate d Ancient Regime, abituate e, al tempo stesso stremate, dalle guerre, soprattutto dalla Grande Guerra, che straziò questa regione seppellendoci quasi due milioni di morti, caduti sulle insanguinate rive della Somme. Accanto a questo si ergono gioielli dell’architettura gotica come la cattedrale di Amiens, chiesa ogivale per eccellenza o il gioiello rinascimentale di Chantilly, incastonate in città di pietra e ardesia nelle quali svettano con le loro massicce torri e le guglie affilate. E, intorno, ordinati campi di erbe smeraldo, bianche falesie e mare grigioazzurro, solcato dal grido dei gabbiani. In lontananza la costa inglese.
Tintagel e il sapore dolce-amaro della libertà
Passiamo in Inghilterra. Di Tintagel,misterioso luogo di nascita di re Artù, oggi restano solo poche rovine, almeno al primo sguardo. Ci si siede su di uno spuntone di roccia e si viene avvolti da un’atmosfera rarefatta ed evanescente a causa della bruma del mare, che si infrange nella baia sottostante e sulle spiaggette di pietra nera che contrastano con il bianco della spuma delle onde che vi si infrangono e che degradano, dolcemente, fino all’Oceano, formando grotte e piccole insenature. Dalle rovine del castello, una ripida scala conduce alla sottostante Merlin’s cave, la grotta di Mago Merlino, dalla quale, se c’è bassa marea, si può raggiungere la spiaggia rocciosa dal lato opposto e ammirare la piccola, ma spettacolare cascata, che scende a precipizio dalle scogliere. E’ un luogo magico, sempre ventoso, col mare che ribolle e si infrange sulle rocce della Cornovaglia e diventa quasi il simbolo della sua ribellione: terra di contrabbandieri, pescatori e minatori, una costa frastagliata e ricca di insenature, caverne e grotte dove un tempo venivano nascoste le merci preziose come il te’ e gli alcolici per il commercio clandestino. Sempre in questo luogo incantato, visitando la King’s Arthur Hall, si può vedere la ricostruzione della Tavola Rotonda e del trono di Artù, e assistere ad una suggestiva rappresentazione degli episodi salienti della sua vita, proiettati su vetrate colorate. Il confine fra realtà e passato s intreccia così fittamente dentro al mio sguardo che, in tanto fulgore della natura, abbracciata alle rovine mortali dell’uomo, alle rocce e alle mura che appartengono ad un tempo antico d’arme e di cavalieri, di eroi e di principesse, scopro un’anima libera che si alza in volo proprio come i gabbiani che lanciano i loro lunghi richiami all’orizzonte, lasciandosi trasportare dalle correnti ascensionali. La nebbia proveniente dall’Oceano, oggettivamente pauroso da guardare dall’alto di questo sperone di roccia circondato dalle acque ribollenti tra i dirupi, è un richiamo irresistibile per planare sempre più in basso e quando si è giunti quasi fino alla nuda roccia , tanto da sentirne il sapore della terra,ci si rialza in volo, liberi,verso altre mete.
Bath
Bath, gioiellodi architettura georgiana! La giornata di oggi rimarrà memorabile e impressa nella memoria perché mi trovo proprio nella location dove una delle mie autrici classiche preferite, Jane Auten visse e soggiornò a lungo due volte: verso la fine del 1700 e dal 1801 al 1806. Passeggio per una città ancora addormentata, è mattina presto,soprattutto per una cittadina termale e dai miei ricordi dei libri – ricordi rinvigoriti dal fatto che avrò letto OGNI SUO ROMANZO almeno cinque volte!- mi accorgo che questo grazioso borgo è ancora molto simile a come l’aveva conosciuto Jane Austen, preservato cioè nelle sue strade, edifici pubblici e che appare come quell’elegante mondo grazioso e ben ordinato che lei aveva così vividamente dipinto nei suoi romanzi. Imbocco una stradina dritta e mi trovo proprio in Gay Street, dove una targa mi indica la casa dove lei viveva e, poco più in là, un cartello mi indirizza, più per curiosità che per indolenza – è così bello oziare sotto ad un lezioso raggio di sole appena spuntato – verso il Jane Austen Centre, che da una rapida scorsa alla guida che tengo in tasca mi dice che è :“ Un piccolo museo molto utile per andare alla scoperta della città con gli occhi della signorina Austen”. Niente di meglio, dunque e mi ci infilo in direttissima. Dentro, la luce sembra cambiare prima in maniera impercettibile, poi, più velocemente, diventa da accecante calore estivo a soffuso lucore quasi evanescente. C’è un bancone come una sorta di reception ma dietro non c’è nessuno così mi sporgo verso un’altra stanza da dove sento dei rumori di acciottolio di tazzine e cucchiaini e da dove proviene un buon profumo di pane o ciambelle appena sfornate. Chiudo gli occhi e mi lascio trasportare dalle sensazioni. E vedo che all’improvviso sono all’intero di una vasta e luminosa tea room dove tante ragazze, dalla pelle luminosa anche senza una traccia di trucco, conversano amabilmente fra di loro. Mi rendo conto che in un’epoca dove c’è un’assenza quasi totale di intrattenimenti, la conversazione, gli incontri, le passeggiate in compagnia, le visite agli amici e ai vicini di casa erano la parte più importante della vita quotidiana. In un qualche strano modo conosco dentro di me i limiti di quel mondo lontano nel tempo, dove gli spostamenti da una parte all’altra delle città o delle campagne avvenivano naturalmente in carrozza e possederne una di famiglia, o addirittura una individuale, era appannaggio delle classi più abbienti, il tutto per potersi recare agli eventi più clamorosi e più attesi per l’epoca e cioè i balli. Proprio questi ultimi sono i grandi protagonisti sociali della letteratura di Jane Austen, perché ricordo bene in Orgoglio e Pregiudizio ma anche in Northanger Abbey e in Persuasion come in queste occasioni danzerine si stringessero nuove amicizie, ci si divertiva fino a tarda notte, e soprattutto le giovani donne avevano la possibilità di trovare un marito. E il matrimonio era l’unica via di fuga per una donna del ceto medio-alto, la quale non poteva lavorare e guadagnarsi da vivere da sola, solo raramente poteva possedere proprietà, e aveva sempre bisogno della protezione maschile per mantenere la propria buona reputazione.
Penso a come è cambiata la società oggi e di come Jane Austen fosse davvero una donna rivoluzionaria e un decisamente anticonformista dato che ebbe il coraggio di rifiutare un matrimonio, ovviamente combinato, per continuare a condurre la sua vita come lei desiderava, facendosi mantenere dal fratello ma coltivando il sua innato amore per la scrittura. Le sue storie, che a molti possono sembrare banali feuilleton romantici, sono il ritratto di un’epoca molto importante per l’Inghilterra e sono la testimonianza dell’esistenza di donne molto consapevoli,anche in epoche così lontane, della necessità di lottare per portare avanti la propria preziosa identità e realizzazione personale, anche, quando accade per una qualche strano e ironico modo della vita, sei solo lungo il tuo cammino.Forse, ad un osservatore superficiale i romanzi della Austen possono davvero sembrare racconti banali e sopravvalutati di inezie femminili: un ballo in una città di provincia, alcune coppie che si incontrano e si sfiorano le mani in un salotto, cibi e bevande e il sommo della tragedia avviene quando un giovane innamorato è respinto e dopo accolto da una solerte e consolatoria fanciulla.Non c’è tragedia, non c’è eroismo. Ma, per un qualche strano motivo , mentre si leggono quelle pagine così lineari nei contenuti e pure ben scritte, in qualche parte del nostro cuore c’è qualcosa che si muove e commuove al tempo stesso: si spalanca una porta dietro la quale era nascosto qualcosa di prezioso che credevamo di avere perduto e scende nell’ anima un’inaspettata pace.
Ecco da Bath porto via quest’emozione con me.
Vittoria e Alberto
Esistono amori grandi, immortali, che fanno sognare e sperare di poterne vivere uno simile in ogni epoca e tempo. Amori intensissimi e quasi inesorabili ma non per questo sbandierati a piena voce, anzi la maggior parte delle volte, forse, quasi nascosti, sussurrati fra le pagine della vita, della storia. È il caso della regina Vittoria e del suo consorte, il principe Alberto, sposati probabilmente per doveri dinastici, almeno di lui si dice così, lei pare si fosse innamorata a prima vista, che si amarono così totalmente e profondamente da mettere al mondo ben nove figli in diciassette anni di matrimonio, crescendoli, il più possibile lontano dai fasti della corte londinese, nella più intima e raccolta quiete familiare della residenza estiva di Osborne house, nella isola di Wight. Un amore delicato ma anche passionale, sfrontato per quell’ epoca rigida e conforme alla etichetta che prende il nome dalla stessa regina Vittoria (epoca vittoriana) dove i due sposi, Vittoria e Alberto, per celebrare la loro unione ma soprattutto la loro intesa spirituale e passionale, si offrirono reciprocamente in dono opere d’arte appaganti i loro (e i nostri a posteriori)amorosi sensi. Per i suoi ventiquattro anni lui ricevette “il dipinto segreto” della regina Vittoria, da appendere nel suo spogliatoio come “quadro preferito del mio caro Alberto”: lei in déshabillé, appoggiata a un cuscino cremisi, i capelli sciolti, le spalle nude, in una posa molto intima e seducente. Per i ventitré anni di Vittoria, lui fece fare dallo scultore prussiano Emil Wolf una statua in marmo di se stesso raffigurato come guerriero greco, con un gonnellino corto, gambe nude e una Vittoria nuda appoggiata sulla corazza. Ma l’idillio domestico purtroppo, come forse tutte le cose belle, fu breve: nel dicembre del 1861 il principe Alberto morì al castello di Windsor a causa di una febbre tiroidea. La morte del marito, così improvvisa e sconvolgente, distrusse completamente la vita della regina. Governò per altri quarant’ anni ma non si rassegnò mai alla sua perdita tanto che nella loro residenza più amata, Osborne House , si continuo’ a vivere come in uno spazio senza tempo, in cui ogni giorno si preparavano gli abiti e gli accessori per la rasatura del defunto consorte, dove sul cuscino del letto coniugale era appoggiato il suo ritratto, per non rimanere separati neppure nell’ abbandono del sonno.
Per due anni dalla morte di Alberto la regina Vittora osservò il lutto più stretto, imponendo severe restrizioni agli svaghi della corte, giungendo a trascurare perfino gli affari di Stato, straziata dalla sua perdita, inconsolabile nella sua solitudine. Una storia tragica, iniziata con un’ intransigente sovrana che pur nella felicità assoluta della luna di miele aveva rimproverato scherzosamente il marito che voleva prolungare di due giorni il viaggio di nozze dicendogli: ” Dimentichi, mio carissimo amore, che io sono la sovrana e che il lavoro non si ferma ad aspettarmi” e conclusa il ventidue gennaio del 1901 quando la regina Vittoria, alla reverenda età di ottantadue anni, stanca e malata, si accinse a compiere un piacevole giro in carrozza nei boschi di Osborne. Qui, cullata dal dondolio, ammirando le fronde sontuose degli alberi secolari e ascoltando gli zoccoli dei cavalli che battevano sul terreno erboso, si addormentò, così serenamente che la dama di compagnia non osò disturbarla. Ordino’ persino al cocchiere di rallentare, per non disturbare il suo riposo, ma la Regina non si sveglierà più, passando dolcemente dalla vita alla morte in un’ uscita di scena in grande stile: morì la donna, rimane immortale il suo amore.