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L’Irlanda nei giorni scorsi ha ratificato il trattato di Lisbona, il 67,1% degli elettori irlandesi si sono dichiarati favorevoli alle condizioni del Trattato. Strano, potrebbero pensare quanti ricordano il risultato della precedente consultazione irlandese sul trattato. Come mai, dopo averlo sonoramente bocciato in periodo di vacche grasse (rimarcando con orgoglio il loro euroscetticismo), improvvisamente gli irlandesi reclamano a gran voce il trattato di Lisbona? Sarà la crisi economica difficile da affrontare isolati dal resto della Ue? Sarà il timore di replicare il disastro islandese? Difficile dirlo. La recente crisi del mercato immobiliare nell’isola di smeraldo – e il sospetto che l’attuale maggioranza di governo abbia contribuito a gonfiare all’eccesso il mercato immobiliare – ha giocato a favore del sì. L’intera opposizione – ad eccezione del Sinn Féin – si era schierata apertamente in favore del trattato di Lisbona e quindi si può dire che, il risultato di questa consultazione, ha un doppia valenza politica: riguarda sia la politica estera dell’Irlanda che quella interna.
Non si illudano quindi quanti pensano che questa ritrovata passione per l’Europa irlandese sia “sincera”. Dietro il sì di Dublino ci sono calcoli ben precisi e gli interessi di una nazione che dimostra di aver maturato un discreto opportunismo. È dunque da biasimare l’Irlanda che tanto facilmente cambia idea? L’accettazione del trattato è diventata la condizione per garantirsi una “rete di protezione” comunitaria contro le crisi economiche? L’orizzonte dell’Unione, dopo quest’ennesima prova, appare sempre più sgombro da qualsiasi cosa non rientri nel campo dell’economia. L’Irlanda è oggi il simbolo di un continente unito solo da questioni finanziarie. Ma l’Unione Europea è solo questo? Dove sono finiti gli sforzi per sviluppare un’identità culturale condivisa? Il trattato di Lisbona sarà in grado di cambiare l’arido stato dei fatti?

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