Medeaonline, magazine fondato nel 2004
FacebookTwitterPinterestLinkedinWhatsappTelegramEmail

“Voi che sapete che cos’è Amor” recitano le parole della celebre aria di Cherubino, Atto II delle Nozze di Figaro di Mozart ma noi potremmo tranquillamente aggiungere, parlando dell’ultimo lavoro del regista e attore Giuliano Bonanni che questo amore, se si parla di teatro, può portare lontano davvero lontano, mentalmente certo, ma soprattutto fisicamente in una messa in scena dell’opera di Beaumarchais a Parigi, grazie alla Compagnie Avanti.

Giuliano, da regista, mi spiega com’è nata quest’idea e da dove nascono i suoi contatti con questa compagnia d’oltralpe?

Da ormai diciotto anni insegno all’Accademia Nico Pepe e tra i diversi ruoli che sono chiamato a svolgere in qualità di esperto c’è quello di docente di Maschera e regista di Commedia dell’Arte. Ogni anno, Insieme a Claudio De Maglio, creo un nuovo canovaccio di commedia e nel 2012 la collaborazione con l’Academie internationale des art du spectacle di Versailles ha permesso l’inserimento di tre allievi francesi (Ivan Mader, Camille Thomas e Luca Antonio Martone) nella costruzione dello spettacolo “La Repubblica contesa”. Il particolare lavoro di training fisico e il metodo che ho sviluppato nel corso del tempo relativo all’utilizzo delle maschere hanno interessato i futuri attori con cui sono rimasto in contatto. Sin dal termine dell’esperienza udinese avevano manifestato la volontà di chiamarmi per sviluppare il lavoro in un progetto più ampio dopo il loro diploma. Per loro fortuna lo spettacolo “Le furberie di Scapino”, con la regia di Carlo Boso, ha avuto grande successo e li ha impegnati per gli ultimi tre anni. A luglio 2014 ci siamo visti ad Avignone in occasione dei rispettivi lavori all’interno del Festival off e la compagnia mi ha chiesto la regia del loro nuovo spettacolo… ed eccomi qua a Parigi ad affrontare “Le nozze di Figaro” di Beaumarchais!

Dai fatti, altri fatti, dunque: da un laboratorio teatrale nasce l’interesse a collaborare insieme per un progetto ben più ampio. I laboratori allora non sono scolasticamente fini a se stessi?

I seminari, e le esperienze teatrali in genere, non dovrebbero mai essere fini a se stessi. Affrontare i principi che permettono all’arte del fare teatro di svilupparsi è un processo mai concluso, mai volto ad un apprendimento esclusivamente tecnico. Anche quando si affrontano delle specificità interpretative come quelle della commedia dell’arte e dell’utilizzo delle mezze maschere di commedia, la finalità non deve essere il mero apprendimento di una tecnica attoriale, ma l’intraprendere un viaggio creativo che permetta alla persona/attore di mettersi in gioco continuamente. La Compagnie Avanti ha già una forte esperienza di Commedia dell’Arte derivante dalla formazione con Carlo Boso e da quasi trecento repliche con “Le furberie di Scapino“, ciò che è nato dall’incontro in Accademia a Udine è la volontà di approfondire il processo espressivo attraverso un’altra modalità e approccio che consenta di utilizzare il codice maschera attraverso un concetto più ampio, un’affinità di intenti artistici che va al di là della visione ristretta di “prodotto teatrale”.

Quanto è importante il rapporto fra docente e allievo nell’educazione e sviluppo delle proprie competenze teatrali?

Il rapporto tra Pedagogo teatrale e Allievo è fondamentale per lo sviluppo di una consapevolezza della diversa qualità di interpretazione che si crea a seconda del metodo che viene perseguito. Il Pedagogo non è un insegnante di tecniche della recitazione, ma una guida verso una presa di coscienza delle dinamiche che permettono ad un attore di interpretare un testo e non di recitarlo a memoria. Il mestiere dell’attore teatrale è particolare e fondamentale all’interno della società perchè permette al pubblico di affinare lo spirito critico attraverso le situazioni create dai diversi autori; il Pedagogo, dunque, può essere fondamentale per far capire all’attore il suo ruolo di artista e non di esecutore.Nel resto d’Europa, infatti, la figura e professione del Pedagogo teatrale è una competenza universitaria, ma in Italia, purtroppo, non è nemmeno contemplata anche se è una specificità fondamentale per capire i principi che sono alla base dell’arte dell’interpretazione e delle strutture drammaturgiche. E’ anche per questo motivo che le Accademie del Belpaese non riescono sempre ad inserire nel mondo del lavoro gli allievi diplomati, perchè la formazione teatrale non è considerata un valore aggiunto e determinante per la carriera di un attore.

In questo contesto si inserisce anche uno dei suoi cavalli di battaglia, il lavoro con le maschere?

La Compagnia, dopo aver vinto il Premio Moliere, desiderava cimentarsi con un lavoro diverso nel percorso, ma che mantenesse vive le specificità artistiche della compagnia, ovvero affrontare un autore classico aprendo a temi di attualità, usare la comicità come strumento di riflessione e critica sociale e promuovere un allestimento in chiave popolare adatto ai teatri come alle situazioni all’aperto con un palchetto di commedia dell’arte. La scelta del testo è stata tormentata perchè le possibilità erano molteplici e inizialmente si stava dirigendo verso drammaturgie decisamente più vicine al codice espressivo della maschera. Sopraggiunta la scelta finale, ovvero “Le nozze di Figaro” di Beaumarchias, si è subito posta la questione di una riduzione del testo e della necessità di un lavoro espressivo volto ad evidenziare la forte critica sociale mossa dall’autore nel periodo pre-rivoluzionario che aveva sottoposto la pièce ad una censura durata sei anni. Questi elementi mi hanno permesso di pensare ad una caratterizzazione particolare dei personaggi e di confermare l’utilizzo di maschere soprattutto per amplificare la presenza di quelle classi sociali che nel testo sono presenti con un grande numero di rappresentanti.

Moderno e antico a braccetto. Ci parli specificatamente di questa produzione francese: quali i punti di forza e quali quelli su cui bisogna continuamente lavorare?

Ritengo che punto di forza di questo progetto sia la presenza di una compagnia teatrale giovane, interessata alla ricerca e all’approfondimento del processo artistico, aperta al rischio e desiderosa di non essere scontata e banale nelle scelte di allestimento. Ciò su cui si intende puntare, poi, è mettere in gioco quell’energia che permette agli attori di non essere degli impiegati del teatro, ma di affrontare il pubblico in una dimensione diretta aperta allo scambio artistico. Il testo, inoltre, è una drammaturgia molto interessante che richiede agli interpreti di lavorare sulla base di urgenze concrete e sincere. Un punto fondamentale su cui bisognerà continuare a confrontarsi, e per cui interverrò anche successivamente al debutto dello spettacolo, è la natura di questa piece che nelle intenzioni dell’autore vuole essere fine strumento di critica sociale e non “frivola opéra-comique”.

Ha pensato anche ad un’esportazione italiana?

Il progetto prevede la possibilità di circuitazione al di fuori del territorio francese e, in particolare, una versione dello spettacolo per rappresentazioni sul nostro territorio. Nella compagnia formata da otto persone, oltre alla presenza di un attore romano, ci sono altri quattro professionisti in grado di affrontare il testo in italiano e i restanti, attraverso il particolare lavoro che stiamo affrontando di analisi delle dinamiche e dei sottotesti della pièce, si cimenteranno in questa seconda versione dell’allestimento con un’attitudine aperta ad affrontare un’altra lingua. Ma al di là delle questioni tecniche, ciò che mi interessa in prima istanza è recuperare, come fecero i commedianti dell’arte del cinque/seicento, quella particolare flessibilità di allestimento e quella capacità di interpretazione fisico-emotiva che permetta di “esportare” lo spettacolo oltre i confini del luogo ove sia stato concepito, così da rendere la storia totalmente universale.

A cuore aperto: si sente valorizzato o “ghettizzato” rispetto dal fatto di venire così apprezzato e ricercato all’estero quando in Italia si fa ancora così tanta fatica a considerare le persone impiegate nello spettacolo come lavoratori veri e propri con una loro dignità e, soprattutto, un loro regolare stipendio?

Che all’estero ci sia un interesse per il mio lavoro mi fa sentire valorizzato e mi entusiasma, dandomi la possibilità di confrontarmi con dinamiche teatrali diverse e di sviluppare le mie conoscenze attraverso esperienze qualificanti, soprattutto in un periodo artisticamente deprimente come quello vissuto dall’Italia da qualche tempo a questa parte. Ciò che fa soffrire – e che questo progetto rende macroscopico – è il fatto che in Italia le competenze artistiche non abbiano possibilità di esprimersi, schiacciate da un sistema previdenziale-contributivo molto confuso, da mancanza di forza sindacale nel settore, da lobbies dei teatri e circuiti ufficiali che chiudono le porte in faccia alle nuove generazioni. La brutta sensazione è proprio quella che nel nostro Paese le forze politiche ed economiche abbiano monopolizzato la cultura così da controllarla meglio e spegnere lo spirito critico delle persone. Un attore o regista o pedagogo teatrale in Italia non ha dignità professionale, non ha la possibilità di esprimere le proprie urgenze perchè i Teatri sono spazi chiusi, i contributi sono fatti ad personam e un ente con cui lavori da vent’anni non è tenuto ad assumerti ma può continuare ad “ingaggiarti” a progetto. Evviva la flessibilità che ci conduce… all’emigrazione!

Fatte queste considerazioni, cosa si riporterà in valigia da quest’esperienza francese?

La volontà, nel mio piccolo, di dare una scossa al blocco generazionale che affossa il teatro italiano.

Un’ultima domanda: se dovesse scegliere una maschera per sé e una per il protagonista principale delle “Nozze”, cioè Figaro, quale sceglierebbe e perchè?

Per quanto mi riguarda da quando ho cominciato a fare Commedia dell’Arte ho indossato la maschera di Pantalone e giocare con lei è decisamente interessante perchè permette di approfondire aspetti umani di una tipologia sociale che trovo assolutamente attuale: il vecchio desideroso di potere, avaro e prevaricatore. Figaro, come ho deciso di fare nell’allestimento, non ritengo debba indossare maschere, è un personaggio multi-sfaccettato che racchiude anche il lato autobiografico di Beaumarchais, quindi una verità da lasciare a viso scoperto.

Friuligiuliano bonanniparigiteatro
0 commenta
FacebookTwitterPinterestLinkedinWhatsappTelegramEmail
Valentina Coluccia

È nata e vive a Udine. È laureata in lettere moderne e lavora come giornalista e critica d’arte free lance e come insegnante di lettere. Vincitrice di numerosi premi letterari è socia del P.E.N. club italiano (Poets, Essayst, Novelist). Il libro “Voce Nuda” è una delle sue ultime pubblicazioni

Commenta Cancella la risposta

Salva i miei dati in questo browser per la prossima volta che commenterò.

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Ti può interessare

Burcu Tokuç, “Pazza per il Teatro”

Il riscaldamento globale dopo l’accordo di Parigi

Dario Fo racconta Chagall al Santa Giulia di...

Terrorismo. Che fare? Ghandi o Rambo?

Il teatro dal punto di vista degli attori

Il teatro dal punto di vista del regista

Je suis Charlie: la libertà in piazza

Pierre e Gilles espongono lo scandalo Zahia

L’oscuro oggetto del desiderio

Firenze 1400, la primavera del Rinascimento

post precedente
Vivi e lascia morire, la seconda volta di James Bond
post successivo
L’esempio dei giusti. In memoria di Giovanni Falcone

Pubblicità

Pubblicità

@2021 - All Right Reserved. Designed and Developed by Medeaonline

Medeaonline, magazine fondato nel 2004