Il riscaldamento globale è il rapido cambiamento del comportamento del clima che, da qualche decennio, fa registrare (mediamente) in tutto il mondo temperature sempre più alte rispetto a quelle che hanno caratterizzato la prima metà del XX secolo (e con tutta probabilità anche quelle degli ultimi due millenni). Questa tendenza non accenna a diminuire e causa tuttora impatti considerevoli sugli ecosistemi e sui sistemi agricoli più fragili, in quanto comporta anche una modifica dell’intensità e della frequenza delle precipitazioni.
Una questione di scala temporale
La Terra ha certamente vissuto periodi più caldi rispetto a quelli attuali (e previsti nei prossimi secoli). Ad esempio, decine di milioni di anni fa (e in molti periodi preistorici) la temperatura media era di qualche grado superiore a quella di oggi. All’epoca il mondo era anche molto diverso dall’attuale : le specie animali e vegetali che lo popolavano all’epoca sono oggi evolute o estinte. L’umanità si è sviluppata solo negli ultimi secoli, costruendo un sistema di infratrutture e beneficiando dei servizi ecosistemici (come lo sfruttamento degli stock ittici o gli insetti impollinatori) sulla base del clima osservato ‘recentemente’. Un cambiamento consistente e rapido come quello che stiamo osservando potrebbe portare a impatti sempre più gravi con il passare dei decenni.
Le cause del riscaldamento globale in corso
La quasi totalità della comunità scentifica è d’accordo nell’affermare che l’attuale riscaldamento globale è causato dalle attività umane. Il ruolo principale è giocato dai gas serra (con una netta prevalenza dell’anidride carbonica, CO2) emessi prevalentemente tramite l’ossidazione dei combustibili fossili (carbone, petrolio e gas), dagli allevamenti intensivi e a causa della deforestazione. I gas serra sono fondamentali per la termoregolazione del Pianeta, assorbendo parte delle radiazioni emanate dalla Terra e trattenendo così calore che altrimenti andrebbe disperso nello spazio: senza di essi la temperatura media globale sarebbe di circa -18°C. Tuttavia, questo effetto aumenta con la loro concentrazione in atmosfera: più ne emettiamo, più tratteniamo calore, favorendo quindi l’aumento di temperatura.
2015, l’anno più caldo di sempre
Il 2015 è stato globalmente l’anno più caldo mai registrato da quando esistono misurazioni rigorose di temperatura (cioè dal 1880), record che era appartenuto a ben quattro degli ultimi undici anni (2014, 2010 e 2005). La temperatura media globale è ormai più alta di un grado rispetto al periodo pre-industriale. Secondo le più recenti stime dell’International Panel on Climate Change (l’istituto scientifico delegato dall’ONU per rassegnare periodicamente gli studi sul clima), se non ci preoccupassimo dell’impatto delle nostre azioni sul clima del Pianeta (e continuassimo quindi ad aumentare le emissioni di gas serra) entro fine secolo la temperatura media salirebbe di almeno altri 3°C (fino ad un massimo di 5°C nello scenario peggiore).
Le minacce per il futuro del pianeta
Gli impatti diretti del riscaldamento globale stanno già gravando sullo stato attuale di molti fragili ecosistemi terrestri e marini. Le variazioni climatiche indotte dall’uomo sono per molte specie animali come il colpo di grazia ad un paziente agonizzante: già minacciate da altre attività antropiche come deforestazione e inquinamento, esse vedono ulteriormente ridursi l’areale del loro habitat di sopravvivenza. Molte zone naturali protette non saranno più in grado di garantire il loro ruolo con distribuzioni di piogge e di andamenti di temperatura troppo differenti rispetto a quelli presenti nel periodo in cui sono state istituite. Senza considerare gli impatti dovuti ad una tale perdità di biodiversità, molti sistemi antropici sono messi sotto stress a causa dello scioglimento dei ghiacciai terrestri (e il conseguente aumento di livello del mare), la variazione nel regime delle precipitazioni (con aumento dei periodi di siccità e di alluvioni), l’acidificazione degli oceani (con gravi pressioni sugli ecosistemi marini a causa dello sbiancamento dei coralli) e l’aumento della ricorrenza delle ondate di calore (come quella che nell’estate del 2003 provocò migliaia di decessi in tutta Europa).
La COP 21 a Parigi
Nel 1992 le Nazioni Unite hanno prodotto un trattato (Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici) che punta alla riduzione delle emissioni di gas serra. Questo trattato, entrato in vigore il 21 marzo 1994, non prevede riduzioni vincolanti per i Paesi sottoposti, ma stabilisce che le nazioni firmatarie debbano incontrarsi annualmente per verificare i progressi compiuti nella lotta al riscaldamento climatico e programmare eventuali accordi di riduzione delle emissioni. Questi incontri annuali prendono il nome di Conferenze delle Parti (COP). Quella svoltasi a Parigi nella prima metà dello scorso dicembre è stata la ventunesima riunione di tale tipo.
Breve storia delle Conferenze sul clima
La più famosa Conferenza delle Parti è stata quella del 1997, svoltasi a Kyoto e in cui è stato adottato l’omonimo protocollo. Esso prevedeva che le nazioni all’epoca considerate ‘industrializzate’ (Stati Uniti, Unione Europea, Russia, Australia, Giappone…) riducessero le emissioni di gas serra tra il 2008 e il 2012 di una percentuale compresa fra il 6 e l’8% rispetto ai livelli del 1990. Il protocollo di Kyoto, entrato in vigore nel 2005 dopo la ratifica della Russia, ha avuto fortune alterne (gli Stati Uniti, complice la presidenza di G.W. Bush, non lo hanno mai adottato), ma è stato rispettato da molte nazioni firmatarie (Italia compresa), anche a causa della crisi economica del 2008, che ha frenato la produzione industriale ed energetica dei paesi vincolati. La 15° conferenza delle parti, svoltasi a Copenaghen nel 2009, si era conclusa con un fallimento dei negoziati (che miravano ad ottenere un altro accordo vincolante per il periodo successivo a quello regolato dal protocollo di Kyoto) in quanto nazioni come Cina e Stati Uniti erano ancora troppo distanti sulle posizioni di quanto onere di riduzione spettasse alle economie emergenti. Le conferenze successive si sono concentrate sulla salvaguardia del processo di negoziazione internazionale sul clima (sempre più messo sotto pressione dalle crescenti tensioni tra le nazioni dovute al cambiamento degli equilibri di potere politico ed economico) e hanno permesso di giungere alla conferenza di Parigi con un ben strutturato framework di offerte volontarie da parte dei singoli paesi (come il pacchetto 20-20-20 dell’Unione Europea).
Un metodo di lavoro inedito
Alla COP 21 hanno partecipato i delegati di 195 nazioni che hanno aderito alla Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici, oltre ai rappresentanti di società/associazioni/organizzazioni scientifiche che si occupano di riscaldamento globale. E’ stato dato spazio anche alle organizzazioni ambientaliste (come WWF e Greenpeace) e ad iniziative inerenti al tema di imprese e aziende. I lavori si sono svolti dal 30 novembre al 12 dicembre 2015, in una Parigi in stato di allerta e sottoposta a notevoli stress sociali in seguito agli attentati terroristici del 13 novembre. I delegati delle nazioni sono riusciti a discutere sul testo di un accordo (raggiunto il 12 dicembre) tramite una tecnica di negoziazione africana, l’Indaba, che si fonda su riunioni plenarie in cui ogni partecipante deve esporre a tutti le sue posizioni, le questioni su cui non può spingersi oltre e i le soluzioni che è disposto ad accettare. Una grande manifestazione ambientalista, che era stata da tempo organizzata per chiedere alla COP di raggiungere accordi stringenti sul riscaldamento globale, è stata vietata per ragioni di sicurezza. Gran parte dei partecipanti ha lasciato, come gesto di protesta, un paio di scarpe in Place de la Republique, mentre una frangia di violenti ha causato disordini e scontri con la polizia.
Successo o fallimento?
L’accordo che esce dalla COP 21 è un successo dal punto di vista dei negoziati internazionali. Dato che l’ultimo approccio ad un concordato globale (Copenaghen 2009) si era rivelato un fallimento, il risultato di Parigi è stato accolto con molto entusiasmo dagli organizzatori della conferenza, dall’ONU e gran parte delle nazioni coinvolte. L’accordo fissa l’obiettivo di mantenere a fine secolo il riscaldamento globale al di sotto dei 2°C (rispetto ai livelli di temperatura pre-industriali). Oltre tale soglia gli impatti sugli ecosistemi e molte risorse naturali diverrebbero irreversibili. Inoltre, i firmatari si sono impegnati a ‘proseguire gli sforzi’ per limitare tale risultato anche al di sotto dei 1,5°C, soglia richiesta a gran voce dai rappresentanti degli stati insulari (messi a grave rischio dall’innalzamento del livello del mare), ma molto ambiziosa. E’ prevista inoltre la creazione (dal 2021) di un fondo annuo di 100 miliardi di dollari da parte dei paesi più industrializzati per evitare che le nazioni in via di sviluppo seguano il loro stesso percorso di crescita ad emissioni elevate. Non sono presenti accordi vincolanti sulla riduzione delle emissioni : i “Contributi promessi determinati a livello nazionale” (impegni di riduzine delle emissioni di gas serra già elaborati negli anni precedenti da molte nazioni) saranno lo strumento principale della mitigazione del riscaldamento globale. Tali contributi volontari potranno essere aggiornati (ma solo in modo più ambizioso) in seguito ai risultati degli inventari delle emissioni (obbligatori per tutti i Paesi) e dei nuovi rapporti sullo stato del clima.
E ora?
L’obiettivo dell’accordo di Parigi è chiaro e il processo di negoziazione internazionale sul clima ha dimostrato di poter reggere le recenti tensioni internazionali. Tuttavia saranno determinanti gli incontri dei prossimi anni, in modo da definire più rigorosamente e attribuire i contributi economici verso i paesi in via di sviluppo e il sistema di Loss and Damage che mitigherebbe i danni economici degli impatti causati finora causati dal riscaldamento globale. Per confermare questa tendenza, l’accordo dovrà essere ratificato dai maggiori emittori di gas serra (Cina, USA, Unione Europea, Russia,…) in modo da renderlo giuridicamente vincolante entro il 2017. Un mancata adesione di una di queste parti, come quella degli Stati Uniti al Protocollo di Kyoto del decennio scorso, renderebbe molto difficile il raggiungimento degli obiettivi previsti dalla COP. E’ necessario uno sforzo maggiore da parte delle nazioni per la riduzione delle emissioni: i gas serra immessi con i contributi volontari finora sottoscritti causerebbero probabilmente un innalzamento delle temperature di quasi 3°C per fine secolo.
La lotta al riscaldamento globale dovrebbe aiutare non solo le nazioni, ma anche le istituzioni locali e i cittadini a dialogare e a trovare insieme le misure migliori per ridurre il nostro impatto sul Pianeta. Tutto sommato, la pace del clima favorisce un clima di pace.