Se ancora ci fosse lo scontro Comunismo – Capitalismo sicuramente oltrecortina griderebbero vittoria. Il Capitalismo, infatti, sembra stia implodendo sotto il peso del Mercato e della Finanza, ossia delle cose che dovrebbero promuoverlo e farlo crescere.
Il crollo del Comunismo ha dimostrato che l’economia non può essere interamente pianificata e che per mantenere efficienza e produttività elevate ha bisogno del prezzo e della concorrenza. Altrettanto chiaramente le nostre difficoltà stanno evidenziando l’incapacità del Capitalismo di fare a meno dell’intervento dello Stato nella formazione della domanda globale, nella tutela del lavoro e, soprattutto, sono la prova di come la preponderanza della Finanza stia distruggendo l’economia reale.
Dopo la caduta del Comunismo, l’Occidente ha confidato ciecamente nel libero Mercato e nell’onnipotenza della Finanza. Seguendo queste strade, però, in pochi anni le nostre economie sono diventate più deboli, e meno competitive. Dal 1989, anno della caduta del muro di Berlino, abbiamo avuto tre gravi crisi finanziarie:
1) Il crack del fondo Long-Term Capital Management (1998).
2) La Bolla di Internet (2000). Cui ha fatto seguito la crisi economica del 2001.
3) Il crack dei mutui subprime (2007). Da cui è scaturita la crisi che stiamo vivendo e che sta mettendo a repentaglio la solidità di interi paesi, dell’euro e forse della stessa Europa.
Durante queste crisi gli Stati hanno speso ingenti somme per sostenere gli istituti finanziari. In special modo per l’ultima si stanno investendo cifre da capogiro. Si salvano le banche, si comprano i titoli di stato dei Paesi in difficoltà e si fa di tutto per far tornare a crescere l’indice borsistico. Come se il benessere dei cittadini dipendesse, veramente, dai numeri degli indici azionari. Nonostante tutto questo esborso di denaro pubblico, però, le condizioni di vita stanno lentamente peggiorando. Le tasse aumentano, i giovani non trovano lavoro, e se lo trovano si tratta di lavoro precario, la disoccupazione cresce, la fiducia nel futuro diminuisce l’economia rallenta ed è sempre sull’orlo della recessione. Dati i risultati, è evidente che questi soldi sono spesi male. Bisognerebbe spenderli per rilanciare l’economia reale, per aiutare chi produce, chi commercia, chi assume. Non si possono sperperare i soldi della collettività per dare valore a dei titoli virtuali, che magari racchiudono altri titoli altrettanto virtuali.
Il nostro Paese, ma più in generale il mondo intero, ha bisogno di crescita economica reale, fatta di fabbriche che producono e assumono, di beni tangibili, di lavoro regolare e tutelato. Abbiamo bisogno di quello che un tempo si chiamava Sviluppo, e non di indici che salgono. Ora gli Stati, invece di sostenere il lavoro, sostengono la Finanza. Viene garantita la ricchezza di pochi invece che il benessere di molti.
Il mondo è vittima di un sistema che non riesce più a controllare. Secondo i dati riportati da Luciano Gallino (in “Finanzcapitalismo”, Einaudi) trenta anni fa, le attività finanziarie avevano un valore all’incirca equivalente al PIL del pianeta. Nel 2007 erano quadruplicate: per ogni euro prodotto dal lavoro e dal commercio, erano in circolazione quattro euro di debiti, crediti e scommesse finanziarie. Questo nei mercati ufficiali che sono controllati. Nei mercati diciamo liberi, dove, di fatto, non ci sono né effettivi controlli, né vere garanzie, e denominati “over the counter”, sempre nel 2007 l’ammontare di questi derivati era stimato pari a 12,6 volte il PIL del mondo. E ora, vista la facilità con cui vengono salvate le banche compromesse con questi prodotti finanziari, sarà ulteriormente aumentato.
Il sistema finanziario mondiale si è trasformato da strumento dell’economia reale a suo padrone. Le risorse disponibili sono tutte destinate a garantire questo ammasso di titoli che racchiudono solo altri titoli e che sono completamente slegati da ogni garanzia reale. Oltre il 90 % delle attività finanziarie non hanno alcun rapporto con attività economiche reali materiali e immateriali. L’Unione Europea e gli USA, assieme a tutti gli altri Paesi, dovrebbero passare dalle azioni puramente difensive come il fondo salvastati, gli Eurobond e il salvataggio delle banche troppo esposte con i titoli spazzature ad una fase offensiva. Di forte contrasto alla speculazione.
La Tobin tax potrebbe andare in questa direzione, sfatando il mito della incontrollabilità dei movimenti finanziari. Questa tassazione, proposta nel 1972 dal premio Nobel per l’economia James Tobin, prevede di colpire, in maniera modica, tutte le transazioni per stabilizzarle (penalizzando le speculazioni a breve termine), e contemporaneamente per procurare delle entrate da destinare alla comunità internazionale. L’Idea principale è che la modica tassazione peserebbe sulla speculazione, perché effettua molte operazioni, mentre non danneggerebbe gli investimenti tradizionali che sono praticamente statici. L’Europa si è decisa ad adottarla, ma con molta riluttanza e, solo dal 2014. Forse non sarà completamente sufficiente, ma è già un inizio.
E’ necessario ritornare ad occuparci di economia, di crescita e di lavoro. Sia per un senso di giustizia, sia perché la stabilità sociale del mondo comincia a vacillare. Il movimento degli indignados si sta espandendo e presto potrebbe diventare incontrollabile.
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Ottimo articolo, purtroppo possiamo solo sperare di avere “capitalisti” giusti, onesti e adatti che riescano a separarsi da interessi politici/elettorali.