Caro Roberto,
auguri di buon anno.
Non è nostra abitudine scrivere lettere di augurio ma quest’anno abbiamo sentito il bisogno di farlo. Perché? Non c’è un vero e proprio motivo né un fatto eclatante che ci ha spinto a scriverti ma un sedimentare di avvenimenti che da anni, forse decenni, ci hanno portato a vivere in un paese che non riconosciamo più o quasi ma da cui, ci auguriamo, possiamo attenderci una riscossa. Perché scrivere proprio a te? La risposta è semplice: perché siamo coetanei.
Chi scrive è nato nel tuo stesso anno, nel 1979, ormai trent’anni fa, in un’Italia diversa, verrebbe da dire eroica; un paese di fabbriche che producevano a pieno ritmo, esportando un modello di vita efficace e raffinato, un paese fatto di lotte per i diritti civili, aperitivi in piazza, solidarietà tra le famiglie. Un paese fatto di cultura, tanta cultura: i nostri teatri ospitavano opere di altissima qualità, i nostri scrittori esportavano in tutto il mondo (Moravia, Calvino, Eco, solo alcuni dei nomi sacri del Novecento), il nostro cinema mostrava una provincia che parlava universale e universalmente era riconosciuta. Insomma, un paese vivo e attivo costituito di gente intelligente e creativa.
Noi, caro Roberto, siamo nati nell’ultimo periodo degli anni di piombo. Un momento difficile della storia del nostro paese ma che non bisogna ricondurre alla solo parola “terrorismo” come viene fatto nelle televisioni italiane. Quando si parla di quegli anni sembra che si vogliano ricordare solo le Brigate Rosse. Perché non ricordare invece le lotte di quella parte del paese che ha contribuito alla stesura dello Statuto dei Lavoratori, alla crescita dei salari, al riconoscimento dei diritti sindacali, al miglioramento delle condizioni di vita? Un’Italia combattiva; in lotta, certo, ma nella legalità, una lotta affrontata nelle piccole cose di ogni giorno: perché a quel tempo la gente era attenta ai propri diritti, leggeva i giornali e parlava tra loro al bar, ai circoli, negli oratori. Erano anni difficili ma stimolanti, ricchi di idee e prospettive. E il paese contava nel mondo perché credeva in valori condivisi: la bellezza, la cultura, la tolleranza, la solidarietà, il lavoro, l’antifascismo.
Non crediamo che l’Italia in cui siamo nati fosse la migliore possibile ma era espressione di un mondo evoluto, al passo con gli altri paesi evoluti. Sono passati dunque trent’anni, tre decenni in cui l’Italia è regredita. Cosa vuol dire regredita? Vuol dire che con i paesi che le somigliano (la Germania, la Francia non certo la Cina o gli Stati Uniti) ha perso molti punti di contatto. L’Italia purtroppo è diventata volgare, furba, facilona, camorrista. Il tuo lavoro, caro Roberto, ci ha aperto una finestra su un paese cui non eravamo preparati. E che purtroppo si affianca a quello della nostra esperienza e lo completa.
Quello che descrivi in Gomorra è terribile: la multinazionale sommersa, fantasma, assassina, di cui parli è un mostro a cui, purtroppo, crediamo. Sappiamo che quello che hai scritto non è fantasia. Ne intuivamo l’esistenza ma non non disponevamo dei dati. Come non disponiamo di dati reali (e nemmeno di suggestioni) sulla ‘Ndrangheta calabrese, sulla Sacra Corona Unita pugliese; perfino su Cosa Nostra, di cui ormai la storia è celata in misteriosi papelli. Per non parlare del Nord, in cui la presenza mafiosa diventa, da voce infondata come si credeva solo pochi anni fa, una realtà sempre più radicata. E’ perciò molto triste vedere i ripetuti tentativi di trasformare il tuo libro in una forzatura romanzesca, in una cattiva pubblicità della tua città e del tuo paese.
Mettiamo ora a sistema quanto scritto nel tuo libro con la nostra esperienza diretta. Non limitiamoci a parlare di mafiosi, parliamo di furbi, volgari, faciloni. Parliamo di quello che abbiamo visto nell’Italia del 2009, quella dei nostri trent’anni. Parliamo del paese diviso in cui viviamo, i cui valori fondanti detti sopra non vengono quasi più citati, anzi sono spesso rinnegati, oppure spudoratamente contraddetti. L’Italia è divisa nelle coscienze. Il lavoro fatto da alcune forze politiche ha portato i suoi frutti: i particolarismi la stanno distruggendo, consegnandola alla smania di potere dei signori locali (eletti e no), quando non si arrivi all’anarchia pura e alla scomparsa dello Stato. Crediamo sia questo uno dei rischi più grossi del nostro paese nei prossimi anni. Siamo molto lontani da quel modello sociale e vincente che nel dopoguerra ha costruito l’immagine di un paese ricco e raffinato. Ed è triste notare come questa deriva particolaristica stia avvenendo per volere di pochi, contraddicendo di fatto il più elementare contratto sociale tra cittadini e politica.
Ma attenzione il nostro non è un discorso banalmente politico, è un discorso più profondo, che scava nelle coscienze, nel sentire, nelle idee. Quando diciamo di parlare di furbi, volgari, faciloni vogliamo indicare l’abitudine alla scorciatoia che una certa cultura, un certo stile di vita, ci ha abituato ad adottare come normale. Mettere a sistema il tuo libro con la nostra esperienza diretta di italiani, da Trieste a Palermo, significa denunciare quanto di ingenuamente illegale avviene quotidianamente in Italia. Innanzitutto nel lavoro, dove il nero, il sommerso, il fare a meno dello Stato, è purtroppo moneta corrente. E non solo nelle aree di Gomorra. Anche nel profondo Nord, nella ricca e opulenta pianura padana, il lavoro nero è diffusissimo: nei cantieri, negli studi professionali, nei negozi, nei bar; persino nelle case, con le collaboratrici domestiche di ogni sorta. Non portiamo dati a supporto di queste informazioni, portiamo l’esperienza diretta che ognuno di noi vive: quando viene l’idraulico ad aggiustare la caldaia, quando andiamo dal dentista per farci curare un dente, quando andiamo da un professionista i cui dipendenti, in pensione, continuano a lavorare in nero. Quanti esempi ognuno di noi può portare per indicare un paese che non funziona perché i comportamenti quotidiani sono basati su misere furberie. Come si può pretendere di avere dei buoni asili, dei buoni ospedali quando si evade il fisco?
Quando non c’è il nero e non c’è l’evasione fiscale, caro Roberto, c’è il precariato, la miseria. Perché, se da una parte c’è la cattiva abitudine di evadere le tasse, dall’altra c’è un sistema sociale che ormai è basato su contratti ridicoli privi di forme di assistenza sociale minime, presenti in tutti i paesi dell’OCSE. Contratti rivolti soprattutto ai giovani, secondo la strana consuetudine di considerare la gente “giovane” fino ai quarant’anni. La situazione è drammatica, soprattutto per i lavori qualificati e per le persone con titolo di studio elevato. Dobbiamo forse credere alle cifre paventate dal presidente dell’INPS a Porta a Porta secondo cui l’87% degli italiani ha un contratto indeterminato? Ma chi stiamo prendendo in giro? Basta fare un giro tra amici e parenti per vedere che non è vero, che moltissimi hanno contratti precari quando non sono dei falsi imprenditori, ovvero dipendenti che possiedono partita Iva sfuggendo ad ogni statistica sul lavoro dipendente? Ma come si raccolgono i dati in Italia, su quale bacino di utenti, secondo quali criteri, da chi è composto il campione? Chiunque non sia ingenuo, capisce che dire 87% degli italiani non significa nulla. La sacrosanta verità è che il lavoro in Italia sta sparendo, sta diventando sempre meno qualificato, si sta delocalizzando ogni secondo di più. E quello che c’è, e non è nero, è svalorizzato, sia in senso monetario che umano. L’esodo dei giovani, soprattutto laureati, verso il resto d’Europa è un fenomeno reale, tangibile, in crescita. Dunque, Roberto, la nostra è una repubblica fondata sul lavoro o cosa?
Arriviamo all’ultimo punto della nostra triste analisi per il 2009. Forse il più importante, perché parla di quella cosa che nasce dalla testa e dai cuori della gente e che qualcuno chiama “cultura”, ma che potremmo chiamare “spirito di un popolo” o, con patriottismo, “italianità”. Cosa significa essere italiani, oggi, se il lavoro, su cui è fondata la repubblica secondo la costituzione, manca o è male interpretato? La storia ci ha regalato il bello. L’Italia è sempre stata bella, ha sempre fabbricato il bello, lo ha sempre creato. L’Italia è sempre stato il paese della cultura. Quel paese che abbiamo descritto all’inizio, quello in cui siamo nati, era in sintonia con questa definizione.
E’ ancora cosi’? Forse dobbiamo scavare ancora una volta negli anni in cui siamo cresciuti, Roberto, per vedere quanto abbiamo perduto di quello spirito. Qual’è il modello culturale che l’Italia, da trent’anni a questa parte, sta perseguendo? Quello dei tagli progressivi e costanti alla ricerca, al cinema, al teatro, all’opera? Quello di un impero televisivo nato nella Milano più volgare e qualunquista, portatore di un vuoto assoluto, di volgarità infantili e di un’attitudine commerciale ciarliera e meschina divenuto modello per la vita quotidiana dell’italiano medio? Che ambizioni ha questo paese se pensa di presentarsi al mondo attraverso la negazione del suo valore fondamentale: il bello? Possiamo forse dire sia un problema mondiale, un bivio a cui si trova tutto l’occidente. Ma il nostro paese in questo processo è tristemente all’avanguardia. E’ questione di valori di base, Roberto. Sono certo che tu ci capisci.
Ecco i punti fondamentali che ci hanno fatto sembrare il 2009, e tutto il primo decennio del XXI° secolo, il momento meno nobile della storia del nostro paese: l’illegalità, il poco rispetto per il lavoro, la mancanza del bello. Ecco chi non ci piace tra gli italiani: i furbi, i volgari, i faciloni. Dunque tu, caro Roberto, e noi, non ragazzi-trentenni come vogliono i media ma giovani-uomini coscienti e responsabili, dobbiamo fare valere i nostri diritti, dobbiamo assumere i nostri doveri. Verso i nostri genitori, verso i nostri figli, per quelli che già ci sono e per quelli che ci saranno. Dobbiamo parlare a voce alta, per pretendere il meglio da noi e dal nostro paese, per fare tornare l’Italia quella che era: un paese intelligente, bello, raffinato, responsabile, solidale, antifascista. Per questo ti vogliamo augurare un buon 2010.
Auguri di buon anno, Roberto, perché vogliamo con te, partire dalle parole, dalle verità scomode che un paese tende a rimuovere, per augurarci che questo 2010 sia l’inizio di un nuovo impegno da parte di tutti verso la legalità, verso il coraggio della denuncia laddove dove è dimenticata, di testimonianza dove è regola di vita.
Auguri di buon anno a tutti quelli che coltivano la legalità ogni giorno, sul posto di lavoro, nella politica, nella pubblica amministrazione, nello sport, nelle associazioni, nella cultura, non venendo a patti con il lavoro nero, disdegnando l’evasione fiscale, agendo secondo la legge, facendola rispettare, legiferando secondo il bene comune, combattendo la criminalità organizzata, denunciandola, educando i bambini, aiutando i giovani e le famiglie a disagio.
Auguri di buon anno a tutti quelli che difendono il lavoro, riconoscendone il valore. Ai dipendenti, ai datori di lavoro, ai sindacalisti, che agendo insieme per il benessere collettivo, creano le condizioni per lo sviluppo del paese e per il miglioramento delle condizioni di vita. Un augurio di cuore a tutti quelli che credono nel valore del lavoro ben fatto, di qualità, ben retribuito, ben organizzato, finalizzato ad un profitto che includa la crescita della persona umana e che sia espressione dei valori condivisi di un paese, della sua cultura, della sua unicità.
Auguri di buon anno a tutti quelli che difendono e diffondono la cultura italiana, la sola in cui un italiano possa riconoscersi con orgoglio. Una cultura ricca di diversità e differenze ma universale per definizione. Auguri di buon anno a tutti quelli che difendono i valori dell’umanesimo che la cultura classica e quella cristiana ci hanno lasciato in eredità. Auguri di buon anno a tutti quelli che hanno la consapevolezza di possedere una storia comune e condivisa con tutti gli abitanti della penisola, che affonda le sue radici almeno nel 753 prima di Gesù Cristo e che si è consolidata con il Rinascimento e il Risorgimento sino a divenire uno dei punti di riferimento della cultura occidentale. Auguri di buon anno a tutti quelli che difendono e promuovono la lingua italiana, una lingua antichissima, di origini nobili, nata presto rispetto alle sue consorelle lingue moderne, nata grande attraverso opere di rara qualità, diffusasi immediatamente come mezzo di cultura internazionale, volano di valori grandi e nobili, di bellezza e moralità.
Auguri, Roberto, perché il tuo esempio di uomo e di scrittore sia valido per tutti quelli che credono nei valori profondi della cultura italiana. Auguri all’Italia che resiste.
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Sei davvero forte, la tua vena satirica è sottile e feroce. Povero Saviano lo hai demolito, ma con tutti i soldi che si è fatto non se ne farà un problema. Auguri a tutti noi precari senza una lira! Buon anno!