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Non è stato un albergo a quattro stelle quello in cui Fabrizio De André e Dori Ghezzi hanno trascorso tra l’estate e l’autunno del 1979 quasi quattro mesi di prigionia. Il nome è però suggestivo, non foss’altro perché l’Hotel Supramonte è anche il titolo di una delle canzoni più note dell’artista genovese, che alla vicenda del sequestro dedicò due soli anni dopo la liberazione l’album che fan e collezionisti distinguono da altri per l’indiano che viene ritratto in copertina.
Un indiano che voleva riflettere, secondo De André, uno spicchio di quella sardità che continuò a stregarlo e a mantenerlo legato all’isola anche dopo la dura vicenda del sequestro di persona e gli sviluppi giudiziari che a questo fecero seguito con la cattura dei rapitori e dei mandanti.

Vicenda che viene raccontata da Raffaella Saba in un libro edito dalla aretina Zona: “Hotel Supramonte. Fabrizio De André e i suoi rapitori“, Zona, Civitella in Val di Chiana, 2007, euro16. Per la Saba, De André e la Gallura non sono, comunque, una novità assoluta, visto che la scrittrice aveva avuto modo di occuparsene durante gli studi universitari per la preparazione della tesi di laurea.

Con uno svolgimento leggero, condito da numerose citazioni, l’autrice ripercorre le tappe della dolorosa vicenda che nell’estate del 1979 costrinse De André e la sua compagna Dori Ghezzi a trascorrere 117 giorni nelle campagne di Pattada, Comune della provincia di Sassari, sotto la stretta vigilanza dei loro sequestratori.
La ricostruzione della Saba non aggiunge nuovi particolari, anche perché di quella vicenda (il rapimento, le reazioni dell’opinione pubblica, le difficoltà delle trattative, la liberazione e gli sviluppi giudiziari) si sa pressocché tutto. Ciò che le preme far emergere è soprattutto la figura di de André di fronte ai suoi rapitori, il groviglio di sentimenti e paure che accompagnò l’evolversi del caso e la decisione maturata subito dopo la liberazione di trasformare quella tragica esperienza (la privazione della libertà non può essere definita diversamente) in un bagaglio di conoscenze buone per il futuro, grazie alle quali la coppia deciderà di rimanere in Sardegna.

Sarà lo stesso De André a dire che quei quattro mesi lo avevano in qualche modo arricchito, facendogli raccogliere tanti spunti per nuove canzoni. Quelle stesse canzoni che faranno da track list per “L’indiano”, l’album nel quale l’artista genovese tradurrà in musica e poesia i giorni del rapimento.
Inserito nella collana “L’Italia criminale”, il libro propone uno spaccato della Sardegna dei sequestri. La vicenda di De André manitiene la sua centralità, ma a margine si intersecano altre non meno dolorose storie di sequestrati: donne, bambini, professionisti che non sempre hanno recuperato il sorriso dopo la liberazione.

Fonte: girodivite.it

ricordando de andré
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