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Undici anni senza di te, Fabrizio, sembra impossibile che sia passato già così tanto tempo. Quante cose sono accadute da quando non ci sei più. Quante volte ci siamo chiesti: «Chissà De André come avrebbe commentato questo episodio?» Cosa avresti pensato del G8 di Genova? Della tua città ridotta a campo di battaglia, delle scuole imbrattate di sangue.

Chissà quali canzoni avresti scritto per irridere un potere sempre più subdolo e corrotto. Come avresti ridipinto certi personaggi, dai ministri ad alcuni direttori di giornali. Si, lo sappiamo, in fondo tu avevi già scritto tutto: i nani, le prostitute, i transessuali… Però la tua era poesia Fabrizio, la nostra è solo vergogna. Cosa pensi quando ci guardi, ovunque tu sia in questo momento? Che il potere ci ha sopraffatti? Che ci ha sottomessi? Ormai nulla ci scandalizza più, neppure le navi radioattive che oltraggiano il nostro, il tuo amato mare.

Non sei mai stato un capo popolo, non hai mai avuto la presunzione di essere un leader o un maestro. Hai sempre parlato per te stesso, per rispondere alla tua coscienza. E proprio nel risponderle ci ha donato l’incanto delle tue canzoni, lo splendore della tua musica. Sì, Fabrizio, perché in questi undici anni non c’è stato un solo giorno in cui non abbiamo ascoltato la tua voce, non abbiamo canticchiato una tua canzone. Perché attraverso di esse sentiamo ancora vicina e viva la tua presenza; perché la tua fantasia e la tua libertà ci fanno da guida in mezzo a questa tempesta come le stelle in cielo per i marinai dispersi.

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