Diciamolo subito, per fugare ogni dubbio, Bettino Craxi è sempre stato un europeista convinto ed ha favorito l’integrazione tra le nazioni che oggi costituiscono l’Unione Europea.
Fanno male quindi i sovranisti a considerare l’ex leader socialista come “cosa loro”, non va dimenticato che in passato Craxi si espresse molto duramente in particolare su un partito, oggi di governo, come la Lega Nord.
Ma cosa disse esattamente Craxi della nascente Unione Europa?
Pubblichiamo qui di seguito alcuni estratti dal libro Uno sguardo sul mondo: appunti e scritti di politica estera (Mondadori) che raccoglie appunti e scritti di Craxi (anche) sull’argomento Unione Europea durante il suo periodo di esilio ad Hammamet.
Verso l’inferno
“Una crisi profonda sta investendo la comunità europea, la sua politica e le sue istituzioni.
Essa ha retto di fronte a prove importanti ma nell’insieme, ormai, ristagna per difetto di strumenti, carenza di iniziative, lentezza e ritardi. Da più parti è auspicato un nuovo impulso alla vita della comunità e al rinnovamento delle sue istituzioni.
O riprende con forza lo slancio europeistico verso più impegnative forme di unità politica ed effettive e più consistenti capacità di intervento in tanti settori, all’interno della comunità, nella politica commerciale, agricola, in quella energetica, come in quella sociale e regionale, e all’esterno verso i Paesi associati e verso il Terzo Mondo, o la crisi in atto finirà con l’assumere forme sempre più dissolventi.
Questo è il senso delle iniziative che si stanno moltiplicando dirette a rianimare la vita delle istituzioni comunitarie e ad accrescerne i poteri e le capacità d’azione.”
I nazionalismi che non fanno bene alle nazioni
“Persistono anche tra i Paesi europei, che pure hanno creato istituzioni ed associazioni comuni, marcati nazionalismi, forti egoismi e diffusi particolarismi che hanno frenato e frenano il cammino di una Unione Europea più evoluta, più ampia, più solidale e più autorevole.
Grava peraltro su gran parte dell’Europa occidentale un peso conservatore che ha fatto e fa segnare il passo in molti campi, da quello dello sviluppo coerente delle istituzioni comunitarie, a quello degli squilibri sociali, sino al campo della cooperazione politica, sovente asfittica, timorosa e balbuziente, vincolata dagli indirizzi, dalle contraddizioni, dalle esigenze diverse dei governi nazionali.
E tuttavia, sia pure a passo ridotto, il movimento ha continuato a progredire, una più matura coscienza europea si è diffusa, e si viene consolidando.
La stagnazione è rifiutata da grandi settori della pubblica opinione e dalle forze politiche e sociali organizzate, si vanno meglio delineando i compiti e gli obiettivi per tutti.
Una azione politica efficace, attiva, convergente, di forze di progresso di diversa origine, estrazione e natura, può consentire di recuperare molti ritardi e rimediare a molte assenze.
I Paesi europei hanno di fronte a sé prospettive molto simili ed un destino che non potrà che essere comune. Ipotizzare che questo o quel Paese europeo possa stare come un’isola verde in un deserto è fuori ormai di ogni logica della realtà e della storia.
Ha una dimensione europea il problema dello sviluppo come quello della disoccupazione, regioni ricche e regioni povere convivono all’interno di un’area economico-sociale che è tra le più potenti e sviluppate del mondo.
Gravitano attorno all’Europa comunitaria, e guardano ad essa con speranza, molti Paesi interessati a nuovi rapporti, nuovi accordi e scambi più intensi.
Senza più vasti accordi e maggiori intese nella politica della ricerca, dell’innovazione tecnologica, della cooperazione industriale, la crescita europea è destinata ad arrestarsi, gli squilibri destinati ad aggravarsi.
Sarà difficile per tutti porre argine a ridurre le sacche della disoccupazione se non si vaglierà adeguatamente tutta l’importanza della dimensione sociale nel processo di integrazione economica.
Rispetto a questi problemi tutta l’Europa è in ritardo e la stessa scadenza del 1992, con l’attuazione del mercato unico, non fa che sottolineare la necessità e l’urgenza di una rinnovata attenzione ai problemi dell’europeismo.
L’Europa appare in ritardo anche in rapporto ai problemi d’ordine mondiale che pure la investono direttamente e sui quali si possono e si debbono pronunciare parole importanti ed influenti: il miglioramento dei rapporti Est-Ovest e la riduzione degli armamenti; le molte crisi regionali, a partire dalla tormentata area mediterranea; lo sviluppo della cooperazione Nord-Sud; il rafforzamento dei regimi democratici di recente formazione; l’espansione dell’area della libertà e il rispetto degli accordi sui diritti umani.
C’è bisogno di una maggiore unità europea ma anche di una maggiore chiarezza e coerenza di direzione politica. È il solo modo per consentire all’Europa di esprimere tutta la forza e la credibilità che sono necessarie per rappresentare un soggetto politico attivo, un fattore non contraddittorio di sviluppo e di stabilità.
È un ruolo che l’Europa deve svolgere non solo per accrescere la fiducia Est ed Ovest ma per concorrere a risolvere i fattori di tensione e i punti di crisi che costellano la scena internazionale e che costituiscono una minaccia strisciante e permanente per tutti.”
L’Italia vigilato speciale
“Euforia ulivista in Italia. Prudenza socialdemocratica in Germania. L’Europa presentata come la frontiera della salvezza. L’Europa considerata come una marcia in salita.
L’Ulivo e per la verità anche tanta parte dell’opposizione parlano il linguaggio di Kohl. Il candidato della Spd alla Cancelleria Gerhard Schröder è di tutt’altro avviso. Non risparmia le critiche al processo che conduce «all’euro».
L’«Avanti!» torna a sottolinearlo. «L’Unione Monetaria fatta in modo precipitoso è condotta ad una nascita prematura, malaticcia…»
Il leader socialdemocratico non nasconde le sue preoccupazioni che riguardano soprattutto lo «sviluppo, l’occupazione e lo Stato Sociale»: «Perché un piccolo nasca e faccia la gioia dei suoi genitori» dice Schröder «noi dobbiamo curare rapidamente le condizioni politiche adeguate e, innanzitutto, degli standard paragonabili in materia di politica fiscale, sociale e dell’ambiente. Diversamente si porrà il problema della concorrenza: chi è pronto a lavorare per salari più bassi e peggiori prestazioni sociali?».
La Germania è, per certi aspetti, una potenza con i piedi d’argilla, con punte di disoccupazione che nella Germania dell’Est, ex Rdt, raggiunge il 24%, e il leader socialdemocratico ne è pienamente consapevole.
In Italia si suona la fanfara europeistica. In Germania c’è chi suona i campanelli d’allarme. «I cittadini debbono essere coscienti» dice Schröder. «La moneta unica non creerà alcun paesaggio fiorito. Costerà dapprima dei posti di lavoro» e aggiunge «bisogna discutere senza pregiudizi dei rischi dell’euro».
Anche Schröder punta il dito su Italia e Belgio e avanza una riserva esplicita: «Sono due Paesi suscettibili di causare delle difficoltà alla politica monetaria europea in ragione del loro alto livello di indebitamento».
Italia vigilata speciale. Se per l’Europa nel suo insieme, secondo Norbert Walter, economista della Deutsche Bank, sarà necessario attendere «un lungo periodo» prima che il ciclo virtuoso della moneta unica possa avviarsi e tradursi in una dinamica di crescita e di occupazione, che ne sarà allora dell’Italia posta sotto controllo in un quadro di parametri rigidi che, benché superati dalla logica, sono stati accettati senza discutere come fossero dei dogmi e delle leggi auree?
È certo che in ogni caso l’euro non sarà un miracolo per nessuno.
Per l’Italia pone e porrà problemi su cui ancora non si discute”.
Siamo diventati comunisti?
“«Sulle questioni europee noi ci siamo pronunciati per un riorientamento della costruzione europea. I dirigenti socialisti d’altra parte hanno accolto favorevolmente questa idea di un rilancio strategico.
L’euro viene varato in condizioni che sono inquietanti. Il patto di stabilità non è stato rimesso in discussione. Il vertice del Lussemburgo ha mostrato la possibilità di riorientare la costruzione europea ma la sua logica, contrariamente a quanto vanno dicendo i nostri alleati socialisti, non è fondamentalmente cambiata.
Noi vorremmo riorientare l’Europa perché essa sia veramente sociale, in una dinamica che, a priori, non esclude nessuno dal campo del progresso.»
Sono parole del leader comunista francese Robert Hue. Ci troviamo abbastanza d’accordo con quanto ha detto.
Non saremo diventati comunisti?”
Quale sarà il futuro dell’Italia?
“Dove va l’Italia? Andremo in Europa. A fare che? Ripetiamo.
Dove va l’Italia? Se il nostro Paese è grande importatore di materie prime non è colpa di nessuno. Se è ormai anche grande importatore di beni alimentari qualche domanda se la deve pur porre. Se è sempre più dipendente nelle alte tecnologie, ci si deve chiedere seriamente perché.
Se il Paese dovrà fare conti sempre più salati con i produttori del Terzo Mondo, nei campi che alimentano l’esportazione italiana, di chi mai sarà la colpa?
Se le aree depresse del Sud italiano, criminalizzate all’estremo, non hanno nessun avvenire, la colpa di chi è?
I politici dovrebbero spiegare in modo più preciso, comprensibile e convincente come si dovrebbe organizzare il futuro economico e sociale dell’Italia.
I cittadini e i giovani in prima fila non dovrebbero stancarsi di porre domande. Non saranno di certo le nazioni europee che verranno a risolvere i nostri problemi, visto che hanno già tanto da fare con i loro.
Quale sarà allora il futuro dell’Italia?”