Nell’estate del 1858 a Londra – sprovvista di una rete fognaria adeguata a smaltire tutti i rifiuti della metropoli – si diffuse la “Grande Puzza”. L’odore insopportabile che si alzava dalle acque del Tamigi era così intenso da costringere la Camera dei Comuni a sospendere i lavori. A Roma, nel 2010, si sta verificando una situazione analoga: i miasmi prodotti dai rifiuti accumulati in eccesso però non provengono dal Tevere, ma dalla Campania. In realtà non è solo la spazzatura a produrre puzza, il tanfo, a quanto pare, proviene anche da quel che resta della moralità (in decomposizione) della nostra classe politica. L’ipocrisia, l’egoismo e l’avidità, come tutti sanno, puzzano e anche molto e nei saloni del Parlamento ormai non si respira più. Da qui la decisione di chiudere i lavori fino al 14 dicembre in attesa di qualche magnanimo refolo di vento che spazzi un po’ di odore portandolo da Montecitorio verso le borgate.
E’ quindi vacanza, un Natale anticipato da festeggiare – per chi ha la fortuna di sedere in Parlamento – dove gli pare, magari in qualche località esotica come quelle scelte per la famosa serie cinematografica di inaugurata da Carlo Vanzina e proseguita da Neri Parenti. Sembra quasi di vederli i nostri ministri, i deputati, gli onorevoli che festeggiano tutta la notte, si alzano tardi al mattino, fanno qualche comparsata televisiva e le interviste a mezzobusto di rito nei telegiornali nazionali per dire tutto e il contrario di tutto. Cadrà la maggioranza? Riuscirà il terzo polo ad avere la meglio su Berlusconi? Cambierà la legge elettorale? Andremo alle elezioni? Finiremo come l’Irlanda, la Grecia, il Portogallo e la Spagna? Chi se ne frega, il Parlamento è chiuso e si va tutti in montagna a sciare e a festeggiare. Sì, ma festeggiare che cosa?
Tanto per cominciare gli italiani non si sono resi conto di nulla e, come probabile, se dovessero tornare alle urne oggi voterebbero di nuovo Silvio Berlusconi. Anche se, fino ad ora, il Presidente del Consiglio si è occupato esclusivamente degli affari suoi e, come fa sempre quando deve attraversare un periodo di maretta, in questo momento è all’estero. Quanto ci rimarrà? Giusto il tempo per farci dimenticare tutto, tanto noi italiani dimentichiamo in fretta. Lo scorso settembre, in Parlamento è stata bocciata la mozione di Borghesi (Italia dei Valori) per ridurre la pensione ai parlamentari equiparandola a quella degli altri lavoratori italiani. E se si “passa la nottata” di questa crisi e si arriva al 2011 maturano pure i contributi pensionistici dei parlamentari: alla faccia nostra.
La crisi nel frattempo non aspetta il 14 di dicembre e continua a mietere vittime. I lavoratori sono sui tetti a manifestare, gli studenti pure, la Fiat conferma tutti i timori espressi della Cgil-Fiom sulla sua politica industriale e occupazione (la volontà, per chi non l’avesse ancora capito, è stracciare i contratti nazionali del lavoro). Insomma tutto procede per il meglio, il tracollo del Paese lentamente si concretizza. Qualcuno dice che, per tornare al livelli di benessere che avevamo prima dello scoppio della crisi serviranno sette anni, qualcun altro dieci. Nessuno però dice che, se rimaniamo semplicemente a guardare come stiamo facendo oggi senza fare assolutamente nulla, non avremo più alcun benessere. Non vorrei allarmare nessuno, ma ci aspetta la miseria nera, quella che costringeva gli operai, i contadini, i lavoratori e gli studenti ad emigrare in massa all’estero (operazione già massicciamente ricominciata da qualche anno). Tutte cose risapute? Sì. Noiose? Pure. E quindi? Freghiamocene, chiudiamo tutto fino al 14 e bruci l’Italia fino a ridursi in cenere: un buon modo per festeggiarne i 150 anni, no?