Bertoli ha conosciuto e lavorato con molte persone, artisti e musicisti, provenienti da tutte le parti d’Italia, lasciando in loro vivi ricordi di amicizia e stima. Vi proponiamo alcune testimonianze di persone che hanno collaborato con Pierangelo: piccole istantanee di pezzetti di vita trascorsa con uno dei protagonisti della canzone d’autore italiana. Alberto Bertoni
Ho scritto diverse canzoni per Pierangelo Bertoli e ho frequentato la sua casa per circa una decina di anni. E’ stato un periodo molto creativo dal punto di vista musicale, ma più che un rapporto di “lavoro” (per Angelo fare canzoni era “lavorare”) il nostro era diventato un rapporto di amicizia. Abbiamo passato interi pomeriggi a discutere, a ridere, a cantare. Io non perdevo occasione per fargli ascoltare di volta in volta le canzoni che scrivevo, ed Angelo era come sempre molto lapidario nei suoi giudizi. Una cosa, per lui, o era bella o era brutta. Era così su tutto, senza peli sulla lingua! Mi ricordo che una volta, a Milano, nella sede di una casa discografica, si parlava di un popolare cantatuore che in quel periodo, “discograficamente” parlando, stava andando molto bene. “Cal lè s’al gniva a ca mèe a ferem scultér el so cansòun agh déva in man una vanga e al mandava a vanghér!”, disse Pierangelo, e subito aggiunse: “Ma visto che sta vendendo tanti dischi al g’avrà ragioun lò!”. Ma né lui né io pensavamo che avesse ragione, e lo sapevamo…
E’ stato a casa sua che sono nati progetti come I giaraun d’la luna, il cd dialettale che tanto successo ha riscosso presso il pubblico sassolese e che molte persone richiedono ancora. Un giorno, durante la scelta dei brani per l’album, mi presentai da Pierangelo raccontandogli che nella notte avevo sognato Bob Dylan che mi dettava una canzone da mettere assolutamente come pezzo di apertura del disco. Naturalmente era una “balla” che avevo sognato Dylan, ma lui stette al gioco e disse: “Fammela sentire”. Gliela cantai e pochi mesi dopo divenne il brano di apertura del cd…
Angelo è stato sicuramente una di quelle persone che è valsa davvero la pena di conoscere e che torna spesso nei miei pensieri. Ancora oggi quando scrivo una canzone mi chiedo: “Ma ad Angelo sarebbe piaciuta?”
(L’articolo è stato pubblicato a Giugno 2005 nella rubrica “La musica che gira intorno…” gestita abitualmente da Alberto Bertoni)
I Nomadi
Quando ci è stato chiesto di partecipare ad un lavoro tributo per Pierangelo Bertoli, abbiamo accolto l’invito con grande entusiasmo. L’essere stati interpellati ci ha riempito di gioia e, perché no, anche di orgoglio.
Fra la sua splendida produzione abbiamo poi deciso di eseguire “Il Pescatore”, un brano che tutti noi abbiamo sempre amato. Una bellissima melodia incastonata magistralmente in un testo che si avvicina alla poesia più pura e ricchissimo di immagini quasi cinematografiche, semplici ed efficaci che hanno sempre stimolato la nostra fantasia di musicisti.
Che dire? Semplicemente che ce l’abbiamo messa tutta. Speriamo solo, in tutta umiltà, di aver reso giustizia di un brano immortale come è immortale la poesia di un uomo semplice e coerente: il poeta Pierangelo Bertoli.
Beppe, Daniele, Cico, Danilo. Massimo, Sergio.
Claudio Sanfilippo
Era il 1985 e, con mia grande sorpresa (e gioia), Amilcare Rambaldi mi chiamò per invitarmi a partecipare alla Rassegna del Club Tenco.
In quel periodo un mio caro amico di Bologna, Giorgio Bassi, che come me si affacciava alle prime esperienze di rilievo nel mondo della canzone d’autore, aveva mandato una sua canzone a Pierangelo, che aveva deciso di inserirla nel suo imminente album, che si sarebbe intitolato Petra. La canzone, molto bella, è “L’odore del porto”.
Giorgio incontrò Pierangelo a Sassuolo e per lui fu, come per me più tardi, un incontro all’insegna della genuinità. Vennero a Milano insieme per registrare l’album e una sera Giorgio mi chiamò per invitarmi a cena insieme a tutta la band. Arrivai in studio mentre Angelo stava cantando, come sempre, molto bene, con quel vocione pieno di registri bassi che risultò inconfondibile fin da “Eppure soffia”.
Subito mi attaccò un memorabile “bottone”, e chiacchierammo amabilmente per tutta la sera. Sembrava di conoscerlo da molto tempo, aveva la rara dote di entrare “empaticamente” nelle corde di chi gli stava accanto. Era un gran chiacchierone, sempre pronto a dire la sua, sempre curioso di sentire la tua. Forte, Pierangelo, sano e potente fin dal primo sorso, come un sangiovese ben stagionato.
Quella stessa sera conobbi anche Marco Dieci, un fine musicista (chitarra, pianoforte, armonica) e un amico che, nonostante la distanza e il tempo ci hanno separati dalle frequentazioni di anni fa, resta sempre nel mio cuore con intatta stima e amicizia. Fu una splendida serata, e così con Pierangelo tutto cominciò sotto l’insegna “pane & salame”.
La sua era una semplicità contagiosa, da persona colta.
Dopo il Tenco gli mandai una cassetta con alcune canzoni che gli piacquero molto. Alla fine decise di incidere Casual Soppiatt Swing, e ne fui sorpreso perchè si tratta di un brano imparentato col jazz o, meglio, con il dixie, e non ricordavo di averlo ancora sentito misurarsi con questo genere di musica.
Qualche mese dopo mi invitò ad ascoltare la canzone bell’e pronta nello studio di registrazione dove ormai aveva quasi ultimato la realizzazione di “Canzone d’Autore”. Giornata di tarda primavera, perfetta, l’appuntamento era sui colli di Imola. Restai fulminato perchè la canzone era arrangiata in modo quasi identico alla versione del mio gruppo, che peraltro si chiamava Casual Soppiatt Band e alla quale la canzone era dedicata. Però. Però a un certo punto c’era un clarinetto che partiva in solitaria, bellissimo. Chiesi: “Chi è questo che suona così bene ?”. Era Hengel Gualdi, una leggenda del nostro jazz. Angelo lo chiamava “Enel”. Non sapeva che oltre al regalo della sua interpretazione mi aveva fatto doppiamente felice con la presenza di Gualdi, di cui conservavo un vecchio disco che mi aveva avvicinato allo swing da ragazzo. Decise perfino di cantarla a Saint Vincent per “Un disco per l’estate”, e per la prima volta ebbi l’emozione di accendere la televisione e di ascoltare una mia canzone dalla voce di uno come lui.
Non abbiamo mai smesso di sentirci per parecchi anni. Un giorno ero dalle sue parti, lo chiamai e andai a trovarlo nella sua casa di Formigine. Non ci vedevamo da qualche anno ma sembrava di essersi salutati due sere prima. Angelo aveva il dono di “lasciarsi scorrere” e di essere sempre splendidamente “fuori moda”. Ci siamo un po’ persi di vista, le telefonate si sono diradate.
Poi, improvvisa, la notizia della sua scomparsa, inaspettata e appresa dalla radio mentre tornavo a casa in automobile. Avevo perso un amico, quel giorno, me lo diceva la memoria risvegliata nel buon profumo di Emilia che Angelo, voce da diesel e sorriso da ragazzo, spargeva sempre intorno a sè. Ho pensato quello che scriveva il mio maestro Gianni Brera in questi casi (ah, io milanista e lui juventino .): Pierangelo, che ti sia lieve la terra …
Per tutte le informazioni su Claudio Sanfilippo cantante: http://www.claudiosanfilippo.it/
Rocco Tanica
Lavorammo con Pierangelo in occasione di “Giocatore Mondiale”, un maxi-singolo del 1990. La canzone era stata scritta per omaggiare (si fa per dire) il grandioso (si fa per dire) evento (si fa per dire) dei Mondiali di Calcio dell’epoca. Il punto cruciale sul quale ci eravamo soffermati era il grandioso dispendio di risorse economiche messo in atto per l’ammodernamento degli stadi; in particolare suonava “stonato” il fatto che molto si era fatto per rendere quelle strutture accessibili ai disabili, mentre barriere architettoniche di ogni genere erano contemporaneamente presenti nelle stesse città senza che nessuno si desse pena di eliminarle. La triste morale che ne derivava era che l’evento calcistico offriva agli amministratori locali il pretesto di sfoggiare grande sensibilità sociale mentre i problemi più urgenti (l’accesso alle strutture fondamentali – quindi non gli stadi – da parte dei disabili) rimanevano vergognosamente irrisolti.
L’idea di chiedere a Pierangelo un personale coinvolgimento artistico nel progetto prese spunto da uno spot di “pubblicità-progresso” che Bertoli aveva interpretato tempo prima, e che riguardava proprio il tema delle barriere architettoniche: nel filmato, Pierangelo era testimone di un incidente stradale e cercava di chiamare aiuto con un telefono pubblico, ma l’impresa si rivelava impossibile perché le porte della cabina gli impedivano di raggiungere l’apparecchio. La cosa ci suggerì il verso, contenuto nella canzone, “Ecco che arriva Bertoli in carrozzella, il quale afferma <<La vita è bella, perché le cabine son strette ma largo è lo stadio, solo alla morte non c’è rimedio>>…”. Ricordo che telefonai a Pierangelo, e il timore era che la cosa potesse parergli eccessiva, al limite del cattivo gusto; feci ampi giri di parole prima di leggergli il frammento incriminato, ma la risposta che ottenni fu un semplice e spiazzante “d’accordo”, e un appuntamento per i giorni successivi in uno studio di registrazione nei pressi di Sassuolo. Partii con i nastri su cui stavamo lavorando e registrammo la sua voce sul brano, insieme ad altri frammenti “recitati” poi non inclusi nella versione finale. Quando il disco fu pubblicato non suscitò eccessivi clamori, a parte le critiche di cosiddetti “abili” alla presunta presa per i fondelli di cosiddetti “disabili”, e una tale ipocrita reazione ci convinse di aver lavorato nel senso giusto.
Ebbi poi personalmente l’onore di lavorare come pianista/tastierista, insieme a Feiez al sassofono, in due album di Pierangelo arrangiati da Lucio Fabbri, “Oracoli” e “Italia d’oro”.
(Rocco Tanica, componente del gruppo “Elio e le storie tese”)
Fonte: bertolifansclub.org
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