Sul tetto della Norvegia. Siamo lungo il Sognefjord. Abbiamo attraversato campi lussureggianti e fattorie, e adesso lo sguardo è catturato dalle vette di Jotunheim, incredibile scorcio fra ghiacciai e rocce di pungente bellezza. Ma un fiordo non è solo un paesaggio geografico. Un fiordo è il suono di un ghiacciao, fredda bellezza sottile che si insinua, come un mormorio di sottofondo, fra i pensieri. È l odore di una cascata, un profumo intenso di freschezza leggermente salata, negli spruzzi che sferzano il viso e nel vento che scaglia il tuo sguardo lontano, liberando la mente dalle mille catene della quotidianità.
Trovi bellezza in ogni dettaglio: alte montagne racchiudono al loro interno pianure verdeggianti, scorci di villaggi arroccati fra le rocce, immobili e ferventi di vita al al tempo stesso, punti di riferimento per il viaggiatore che li attraversa. È una continua scoperta che mostra secoli di armonia e contrasto fra uomo e natura, frutto aspro e difficile della voglia inarrestabile di chi vive lungo i fiordi e che ha cercato tutte le vie possibili e utilizzabili per uscire a scoprire il mondo. Un ambiente che lascia l’anima in bilico fra fascino e soggezione: la luce si riflette improvvisa in un lampo di arcobaleno intravisto nel tintinnio dell’acqua di una cascata. E sei perso. Innamorato follemente di un paesaggio che si snoda sotto ai tuoi occhi come le ramificazioni vive dei ghiacci che ti stanno intorno e ti regala il souvenir forse più originale e reale che tu abbia mai acquistato: la memoria del ghiaccio puro, che rimarrà per sempre nel tuo cuore.
E poi ci sono i boschi della Norvegia, nei quali vivono i troll. Esseri mostruosi e bitorzoluti che spariscono al tramonto e che si muovono solo al crepuscolo, perché al calore del primo raggio di sole rimarrebbero pietrificati. La leggenda vuole che fra questi esseri boschivi ce ne fosse uno, il più antico di tutti, il troll Arnolfo, che proveniva da una famiglia nobile dell’Ovest. Era invincibile perché era l’unico che avesse l’usanza di NON portarsi dietro il cuore. L’unico inconveniente era che lo… perdeva continuamente, dato che nascondendolo sempre in posti diversi, non si ricordava mai dove l’avesse messo.
A questo punto, lo scettro della favola lo prendo io e, ispirarata dal contesto, continuo a raccontare questa storia “a modo mio”. Un bel giorno Arnolfo abbandonò la sua grotta e si mise in cammino perché voleva scoprire come fosse il mondo fuori dal bosco. Camminava solo di notte, perché durante il giorno doveva nascondersi dal calore e dalla luce del sole per non sciogliersi come la neve dei ghiacciai in estate. Dopo alcuni giorni arrivò in un villaggio. Stava raccogliendo delle bacche per cibarsene, quando udì una voce melodiosa librarsi cristallina dalla finestra di una casetta proprio ai margini del villaggio, quasi al limitare del bosco. Si avvicinò e vide, dal di fuori, che era una bellissima ragazza che cantava, filando la lana vicino a uno scoppiettante e invitante caminetto. Oltre al suo aspetto, Arnolfo fu colpito dal suono della sua voce: la purezza del suo canto, infatti, aveva uno splendore più cristallino di qualsiasi cima di ghiacciaio che avesse mai visto, e nonostante fosse ben lontano dal fuoco, gli arrivava sul viso e soprattutto nel petto un calore e una dolcezza mai provati prima.
Ma che cos’era quella sensazione? Non l’aveva mai provata prima ed era terribile e meravigliosa al tempo stesso. Ti scuoteva, dentro, come un temporale che aveva visto una volta, secoli prima, seduto su una roccia che emergeva da un fiordo, osservando la natura scatenarsi intorno a lui con furia incontrollabile. Ma quello che aveva provato allora era stato un timore terribile e la sensazione di potersi inabissare da un momento all’ altro e non questa… soffusa bellezza che si stava diffondendo, dolcemente, dentro di lui. Poi, d’improvviso, capì. Quel calore che non aveva mai provato altro non era se non quella luce del sole che aveva sempre temuto, quella lama mortale e misteriosa che tutti i troll, da secoli e secoli, descrivevano come il mezzo più veloce per una morte certa, dolorosa, inesorabile. Ma lui era lì, ancora lì più vivo e ardente che mai. Come era possibile? Forse tutto quel sole che lo illuminava dentro non era poi così fatale come aveva sempre creduto. È così Arnolfo imparò due grandi verità: la prima che non bisogna credere a tutto quello che ti dicono senza sperimentarlo in prima persona e la seconda, e forse la più importante, che nella vita per un sentimento autentico bisogna lottare, provare, rischiare le proprie certezze. Solo così ci si sentirà davvero vivi e invincibili.