Scioperi sì o scioperi no?
Medeaonline crede innanzitutto che l’Italia abbia bisogno di una nuova cultura sindacale, di una rinnovata coscienza del diritto al lavoro. Questo significa cambiare il nostro modo di pensare, di cittadini, di lavoratori, d’italiani. Bisogna smettere innazitutto d’associare i sindacati ai partiti della sinistra, perchè il diritto al lavoro e alle garanzie sociali non appartiene ad una parte politica ma al corretto convivere civile e alla buona educazione civica. La cultura europea liberale e socialdemocratica va difesa nel paese e promossa all’estero, è l’unica cui riferirsi per differenziarsi dagli Stati Uniti, dal loro capitalismo selvaggio, e per differenziarsi dai nuovi mostri emergenti, Cina e India in primis, troppo spesso esempi di ricchezza ineguale e senza diritti. In questo contesto hanno senso le lotte sindacali. Non per difendere privilegi, non per fare lotte politiche tra partiti di governo ed opposizione. Crediamo che tutti debbano rendersi conto di questa evidente realtà: gli stati europei, tra cui l’Italia, devono tornare a rappresentare il luogo in cui i diritti sociali e i diritti del lavoro, in definitiva i diritti dell’uomo, siano rispettati e promossi. Il nostro paese deve difendere lo stato sociale, il diritto al lavoro, allo studio, alla famiglia, alla salute. Lo stato deve tornare ad essere il garante della condizione di “cittadini” a pieno titolo. Troppo spesso i nostri politici ci chiamano “popolo”! Sembrano sottigliezze linguistiche ma non lo sono affatto se ci si pensa.
Reimpostiamo lo stato sociale. Non domandiamo certo allo stato di essere assistenzialista, non si chiede questo, ma di tornare a garantire parità di dignità, diritti e possibilità a tutti. Se non si va verso questo modo di gestire la società, vedremo abbassare sempre più i salari del ceto medio (il pericolo più grave) e la famiglia dovrà tornare a farsi carico di tutte le spese (sanitarie, educative, pensionistiche). A quel punto con i salari attuali non sarà davvero più possibile. Con 1000 euro al mese, che per qualcuno sembra un traguardo e non una vergognosa condizione, non si puo’ rimpiazzare lo stato sociale, è una realtà sotto gli occhi di tutti. E’ necessario mettere in atto nuovi ammortizzatori sociali (salario minimo, indennità di disoccupazioni, assegni famigliari) in grado di aiutare la famiglia, struttura base di una società sana. E oggi le famiglie sono sempre più depresse, deluse, incerte. Bisogna normalizzare il mercato del lavoro (le condizioni contrattuali italiane sono diventate una vergogna europea), incentivare lo sviluppo di grandi imprese (finiamola con il mito delle piccole medie imprese – ergo partite ive individuali senza alcuna garanzia- che non funzionano più nel mercato globale).
In tutto questo occorre una nuova coscienza sindacale, nei cittadini e nei sindacati stessi. I primi per rendersi conto che i sindacati non sono agglomerati di comunisti-mangia-bambini ma una realtà naturale di una società avanzata, necessaria per garantire un buon livello di lavoro e di vita delle persone. I secondi perché devono tornare a fare il loro lavoro con autocritica. Spiace dirlo ma i sindacati italiani sono responsabili del degrado salariale dei lavoratori italiani : negli ultimi quindici anni hanno detto “no” a tutte le innovazioni utili e “si”a quelle davvero pericolose. Sono stati più impegnati nei comitati NoTav che in quelli NoPrecariato (atteggiamento condiviso da parte della sinistra). Ne è conseguito che uno stipendio italiano è oggi un terzo di quello degli altri grandi paesi europei e il costo della vita è lo stesso.
E allora, dov’eravate, sindacati, sino ad oggi ? Svegliarsi ora è un dovere nazionale, di cittadini, di sinistra e di destra. O più semplicemente è un’urgenza. La crisi ci farà forse capire che difendere i “diritti” del lavoro è un “dovere” di civiltà alla base di un paese avanzato, oltre che di ordine pubblico (per i più duri di testa bisogna ricordare anche questo). Ormai non c’è più scelta, siamo al limite delle nostre possibilità di scelta : o si agisce nell’interesse del paese, dell’Italia, dell’Europa, delle famiglie, o tra cinquant’anni si rimpiageranno i tempi in cui si stava bene e non si doveva emigrare in Cina per lavorare 15 ore al giorno (è un iperbole, ma rende bene).
Siamo ancora in tempo. La cultura dei sindacati è cosa di tutti : che si tratti di Cisl o Uil. Persino della Cgil. Già: tutti. Perché CGIL vuol dire “Confederazione Generale del Lavoro”, non “confederazione del Partito Democratico”. Poi si puo’ essere masochisti, restare a casa al calduccio e sognare che un giorno si avrà uno stipendio di 1000 euro al mese, magari 1300. E badate che chi sogna questo non è avaro.