Primavera del 1968. Mentre i genitori sono in vacanza, Isabelle e suo fratello Theo invitano Matthew, un giovane americano appena conosciuto, a casa loro. Durante la convivenza, i tre ragazzi sperimentano un codice di comportamento e esplorano le proprie emozioni e pulsioni erotiche. Un film d’impatto, contradditorio, che parla del sessantotto in maniera inedita, analizzando soprattutto la cosidetta liberazione sessuale. Una pellicola del 2003 su cu si é molto discusso.
Due commenti :
“Bertolucci rivisita il ’68 e lo fa con una ricercatezza di stile che sfiora il manierismo. Per chi ha amato un film altrettanto attento a ogni minimo segno portato sullo schermo sembrerà quasi contraddittorio parlare qui di manierismo. Invece di questo si tratta. Se “Ultimo tango” sembrava ormai alle spalle la sua ossessione ritorna. Con in più il raffinato ammiccamento cinefilo che fa sì che il terzetto che si forma trova il primo collante proprio nella passione per il cinema di qualità. Peccato però che lo sfondo di questo sottile gioco al massacro erotico sia il ’68. Sul quale emerge una posizione che farebbe nascere sotto i polpastrelli la parola ‘reazionaria’ se i tempi non fossero cambiati. I gemelli di Bertolucci hanno bisogno di un sasso che spacca una finestra e di un giovane americano tanto ‘puro’ quanto pragmatico e utopista al contempo, per rendersi conto che ‘fuori’ sta capitando qualcosa di assolutamente nuovo che travalica la rappresentazione della realtà offerta dal cinema. Bertolucci torna a raccontare di un mondo medio borghese che ben conosce ma che non è rappresentativo del ’68 e delle sue rivolte politiche e sessuali. C’erano anche loro, è vero, e probabilmente oggi stanno dall’altra parte ma il film non lo dice. Preferisce attardarsi sui giovani corpi nudi lasciando spazio a una frigida ricerca estetica. Per molti di quelli che non c’erano è una lettura consolatoria fatta da un Maestro che forse ha dimenticato i veri, per quanto confusi, sogni di quella generazione.” (mymovies.it)
“Un gran film è anche un’opera aperta, poco catalogabile, nella quale concetti e stili sono assimilati in modo talmente omogeneo da sfuggire all’occhio, priva com’è di quegli accenti che segnano il passo tra uno stile maturo ed uno acerbo. Quando si assiste a sequenze colme fino all’orlo di riferimenti, citazioni, tecniche narrative e di ripresa, effusioni estetiche e quant’altro il cinema conosca, incastonate a rigorose ricostruzioni sociali e psicologiche, come se da sempre e naturalmente fossero unite in quella veste visiva, viene la sensazione che tutto sia immediato, facile, senza fatica.
Viene da pensare che il cinema sia cosa semplice. Si dice che la grandezza di un professionista stia nel rendere facili le cose più difficili: così Bubka saltava eternità di centimetri sopra le umane possibilità con una disinvoltura sconcertante, mentre l’estrema complessità della Divina Commedia ci appare lontana e nascosta dietro la piacevolezza della narrazione, ed ancora il sorriso irripetibile della Gioconda ci sembra più una casualità uscita dal pennello di Leonardo che il frutto di interminabili tentativi e correzioni durate decenni. Ecco allora che veder padroneggiare perfettamente il linguaggio cinematografico come accade in The dreamers è cosa rara e insieme una gioia per gli occhi.
Beninteso, non si tratta di un ammaliante esercizio di stile: Bertolucci ci riporta indietro al nucleo bollente del secolo scorso (impressiona parlare di un secolo passato, quando in fondo si tratta di poco più che trent’anni), si chiude in una casa e, ascoltando dalla finestra il fragore di un sogno che sta generando la rivoluzione, ci parla in vece di tre sognatori allo stato puro, tre asceti alla scoperta delle zone morte del proprio io, dalla sessualità alla perversione, dalle vibrazioni della mente alla loro oggettivazione nelle arti, dalla politica alla guerra: un’escursione nelle zone ideali dell’uomo, slegate dal confronto con la realtà. Nell’aria sporca e sudaticcia di quelle mura, prendono corpo immagini cinematografiche che, sotto le spoglie di citazioni, parlano dell’uomo, delle sue idee, del suo serbatoio di immagini. Si tratta sì di una celebrazione dedicata alla settima arte, ma soprattutto di un idealismo che vede nel cinematografo il canalizzatore delle visioni e delle illuminazioni umane, quelle stesse nascoste dietro la rabbia dei proclami e delle lotte di quegli anni. In questo senso, è sbagliato dire che The dreamers ‘sfiora’ la tematica sessantottina: la racconta anzi più di altri, con una intuizione filologica suprema. Parte cioè da quel nido di pulsioni di cui le manifestazioni e le guerriglie sono solo la diretta conseguenza, dipingendocele di estetismo ed erudizione cinematografica.
Il capolavoro è allora nell’immagine finale di una Parigi che brucia di fiammelle ardenti, ma fredda, oscura: icona storica di un’epoca e sogno che crolla dalla calda bambagia alla dura e gelida realtà.” (di Francesco Rivelli, centraldocinema.it)
Sito del film : www.thedreamersilfilm.it