Lara Manni è tornata nelle librerie con il suo secondo lavoro Sopdet (Fazi), un romanzo che si colloca nel mezzo di una trilogia – cominciata nel 2009 con Esbat (Feltrinelli) – che terminerà con Tanit. Tutti e tre i libri hanno seguito un percorso singolare: sono nati su Internet come fan fiction ispirati da un famoso manga e, attraverso varie peripezie (tra cui il cambio di editore), sono poi evoluti e maturati. Esbat è stato un esordio fortunatissimo, il libro colpiva molto per lo stile (asciutto ed essenziale) e la capacità dell’autrice di gestire un intreccio molto complesso, mantenendo invariata la tensione per tutta la durata della storia. Qualcuno ha notato il debito di Esbat nei confronti di Stephen King, un autore che Lara cita spesso sul suo blog.
Non credo di sbagliare se dico che King è per te un punto di riferimento importante, com’è il maestro dell’horror visto da Lara Manni?
«È un maestro, appunto. Uno scrittore che è cresciuto enormemente libro dopo libro. Che compie un lavoro di ricerca e a volte di sperimentazione linguistica molto spesso sottovalutato. Che è riuscito a raccontare la classe media americana con rara efficacia. Che si occupa delle emozioni, e non soltanto delle paure, degli uomini. Che ha una visione al tempo stesso umile e altissima della scrittura».
Quali altri autori hanno influenzato il tuo modo di scrivere?
«Tanti. È sempre difficile individuarli uno per uno, perché quando si comincia a scrivere si compie sempre un gesto di restituzione di quanto si è ricevuto negli anni come lettrice. In ambito fantastico, i grandi classici: Lovecraft su tutti, ma anche Barker, ma anche Gaiman, ma anche il Blatty de L’esorcista, o Ira Levin di Rosemary’s Baby, che omaggio in Tanit. Ma sono stata e sono accanita lettrice di Virginia Woolf e di Saramago e di Ellroy. Fra gli italiani, di Tullio Avoledo, Chiara Palazzolo, Valerio Evangelisti, per citarne tre».
Ti andrebbe di provare a spiegare perché Lara scrive?
«Semplicissimo: per raccontare storie».
Come ti vengono le idee per le tue storie, cosa muove la tua ispirazione?
«Questo, invece, è difficile da raccontare. Dipende. In genere camminando, oppure osservando una scena, per puro caso. Esbat è nato da una conversazione via mail con un’amica. Sopdet dal ricordo di una visita a Redipuglia. Tanit da una scritta sul muro che annunciava, in un italiano sgrammaticato, la fine del mondo. Poi comincio ad arrovellarmi sugli “e se?” e a prendere i classici appunti sul classico taccuino. Quando ho in mente un finale, la storia è pronta per essere scritta».
Fan fiction, tutto è nato da lì, cosa ti piace di quel modo di scrivere e pubblicare?
«Intanto, il fatto di avere un’ideale scadenza settimanale aiuta molto a concentrarsi e a concepire capitoli che devono ogni volta attirare chi legge con colpi di scena, o punti di svolta nella trama. In secondo luogo, i commenti dei lettori sono fondamentali per capire cosa funziona e cosa invece va cambiato. È come un pre-editing pubblico: importantissimo, per me».
Hai un blog molto interessante che usi per parlare del tuo lavoro di scrittrice e non solo. Quanto è importante per la tua professione il blog?
«Il blog è nato come un vero e proprio diario, ormai tre anni fa: l’ho usato per diversi mesi con questa unica funzione, e per condividere appunti, riflessioni, articoli giocosi. Poi è cambiato: cerco di aprire alla discussione o pubblico i retroscena del lavoro di scrittura, come la serie di post storici con cui volevo mettere a disposizione dei lettori la fase di documentazione che ha preceduto la scrittura di Sopdet. A volte segnalo anche libri che mi sono piaciuti. Importante? Lo è diventato sempre di più, in effetti».
In Sopdet la Storia irrompe nel tuo lavoro: è una novità rispetto a Esbat. Come mai hai sentito l’esigenza di dare una dimensione storica così significativa al romanzo?
«Perché mi sono detta che se un demone visita il mondo degli uomini deve esserci un motivo. Cambiare un singolo destino, per esempio. Ma anche manifestarsi nel momento in cui la storia degli uomini è più oscura. Questa è la motivazione inerente alla narrazione. Poi ce n’è una personale: mi piaceva l’idea di cimentarmi con la scrittura storica, e cercare di dare un respiro più ampio al romanzo. Penso che non ci rinuncerò facilmente, anche nei prossimi».
I personaggi femminili dei tuoi romanzi sono meravigliosi e molto realistici. È a questo genere di personaggi che ti riferisci quando parli di superare gli stereotipi sul femminile?
«Grazie, anzitutto. Diciamo che è il mio obiettivo, e che non è affatto semplice riuscirci: perché un certo tipo di personaggio femminile ci permea comunque, e quasi in automatico si viene sospinti verso la donna innamorata e tradita. La difficoltà più grande è proprio quella di usare quello stereotipo e cercare di ribaltarlo, come sto provando a fare con Lavinia».
Parliamo del futuro: dopo Esbat, Sopdet e Tanit ci sarà Lavinia (che non ha ancora un titolo definitivo). Puoi rivelarci qualcosa su Tanit e Lavinia?
«Tanit è la conclusione della saga. È cupo, duro, apocalittico, vede la Dea scendere fra un’umanità incattivita come quella che oggi ci circonda. Ci saranno due nuovi personaggi, Brizio e Nadia, grazie ai quali si chiude davvero il cerchio e si scoprono le origini e le motivazioni del primo passaggio di Hyoutsuki, in Esbat. Ma vengono rivelati anche gli scopi di Axieros nell’aver ordito trame così complesse. Caos, certo: ma non solo. Quanto a Lavinia. Una donna innamorata e tradita. Un anno drammatico, il 2005. Un gioco di ruolo on line. La morte e il femminile. Ti basta?»
Direi proprio di sì. Ti faccio un’ultima domanda a bruciapelo, rispondi senza pensare: Hyoutsuki o Yobai?
«Ahi, che domanda. Potrei pentirmi della risposta. Ad ogni modo: Hyoutsuki».