Da poco approdata nella bella terra di Svezia, ho già iniziato a fare la conoscenza delle abitudini locali. Decisa a conoscere gente e paesaggio più da vicino, in un bel pomeriggio soleggiato, cosa che mi dicono già rara persino d’estate, esco fuori dall’albergo e cerco una qualche indicazione verso il centro città. Mentre sono praticamente piantata sotto un cartellone di indicazioni stradali, cercando di capire se c’è magari sotto una traduzione in inglese, mi si avvicina una vecchietta. Che meraviglia! Sembra uscita dal mondo fiabesco dei fratelli Andersen! È candida, eterea, pare fatta di zucchero filato e, ora che noto bene, ha davvero una sfumatura turchina nei capelli corti e graziosamente acconciati, certo un po’ cotonati ma si sa… i gusti delle vecchiette in fatto di pettinature sono uguali un po’ in tutto il mondo…
Beh, insomma sono lì che la contemplo un po’ incantata quando la soave signora mi apostrofa con gentilezza: “Cagata, cagata!”, mi sussurra dolcemente. Per poco non faccio un balzo indietro e la stendo: “Eh???? ” Proferisco incerta e non poco imbarazzata, al momento ancora poco consapevole che qualsiasi cosa la dolce vecchietta mi voglia dire certamente NON sarà la traduzione LETTERALE di quello che la parola significa in italiano e dunque, appena riavutami, la osservo cautamente, in attesa, con sguardo vagamente interdetto e interrogativo. Paziente, dato che mi avrà preso per una minus habens, lei continua con la sua parola magica, anche se stavolta la scandisce meglio: ” GAGATA, GAGATA, ” e io sono punto e da capo immersa, anzi direi quasi affogata, nella mia impasse linguistica.
Sto per perdere coraggio e allontanarmi da lei con le pive nel sacco, quando spunta da dietro un cespuglio – ma da quanto era lì e se la godeva?- un poliziotto che, in perfetto inglese, mi dice che la traduzione di GAGATA è: STRADA PEDONALE e dunque “quella”, e me la indica sogghignando, è la strada verso il centro. Rincuorata, ma anche con la precisa sensazione di essere stata, per quanto bonariamente, presa eh… diciamo per i fondelli, di buon passo procedo dunque verso il centro. La camminata non è breve e infatti ci impiego più di mezz’ora, tanto che la prima cosa che faccio è quella di fiondarmi in un mac Donald – è un po’ come la pasta Barilla, ormai ti fa sentire a casa ovunque- per comprare dell’acqua. Cavoli, qui l’inglese lo parleranno, no? Penso. E dunque mi metto in fila e, appena arriva il mio turno, in perfetto inglese e pure con un bel sorriso (via esageriamo…) chiedo al cameriere, appunto, una bottiglietta della chiara dolce e preziosa bevanda. “VATTEN!” Proclama a gran voce il ragazzo dietro il bancone ma poi, vedendo la mia faccia a dir poco sbigottita, mi sorride. Lo guardo senza parole. VATTEN? A me??? E per cosa, poi, per aver chiesto una bottiglietta d’acqua? Ma sono tutti matti in sto paese? Manco ti fanno arrivare che già ti vorrebbero sbattere fuori?!
Manca poco prima di fare un’ altra figuraccia quando, con la coda dell’occhio, leggo sull’etichetta di una bottiglia d’acqua sul bancone è scritto PROPRIO “Vatten” e dunque colgo al volo che è la traduzione svedese per acqua, appunto. Pago e, sfinita da queste complessità linguistiche, mi siedo su una poltroncina fuori. Sarà finita con le stramberie, oggi? Penso. Ma neppure ho finito di dirlo che si avvicina un bel fusto e, con voce suadente, mi dice: “Fika?”. Ora, per l’amor del cielo, come ogni femmina vanitosetta di questo pianeta so di essere carina, ma via, la libertà svedese può davvero arrivare a tal punto da propinare ad una perfetta sconosciuta un complimento così sfacciato alle tre di un pomeriggio rovente di fine luglio? È decisamente un po’ troppo e sto quasi per andarmene, quando una ragazza francese che ha ascoltato la nostra conversazione si alza dal tavolino vicino e mi dice, sorridendo: “È il loro modo per chiederti se vuoi fare una pausa caffè.” E se ne va. Hai capito, gli svedesi!! Paese che vai… lessico che trovi!