«È una donna che fa paura perfino a me che l’ho interpretata, si fa giustizia da sola. Non è la cosa giusta, ma alle violenze è meglio reagire che restare zitti». Prima immagine di Uomini che odiano le donne: Noomi Rapace cammina dando le spalle tutta infagottata, il cappuccio in testa, una “punkabbestia” del grande Nord, si gira e l’espressione è di una ragazza (giustamente) incarognita per tutto quello che la vita le ha riservato, due anelli al naso, pallida come un cencio. Ma di persona Noomi non è così minuta come il suo personaggio, Lisbeth, l’hacker che affianca il giornalista Mikael (l’attore è Michael Nyqvist) a risolvere il pasticciaccio brutto di un’isola svedese; anzi, Noomi ha una sua femminilità.
Però appena finita la conferenza stampa sul primo dei tre film dalla trilogia Millennium, scende dal tacco 12 (la mise è comunque sadomaso) e si mette stivaletti anfibi, corti e neri da dark girl, e canotta borchiata. È la protagonista dell’adattamento del caso editoriale di Stieg Larsson, che non è vissuto abbastanza (è morto nel 2004) per sapere che 2 milioni e 700 mila spettatori l’hanno già visto in Scandinavia, mentre i lettori della trilogia sono dieci milioni nel mondo. Noomi è una neo-mamma di 29 anni nata a Stoccolma. Come il suo personaggio, è attiva e adrenalinica. Il regista è Niels Arden Oplev che ha accettato «dopo molte titubanze, non avevo letto il romanzo, pensavo al solito thriller svedese. I film svedesi sono piccoli, deprimenti e si svolgono in una sola location. Qui siamo all’opposto». Realizzarlo non è stata una passeggiata nel parco, «anche se il libro nel frattempo era diventato un best seller».
Quarant’anni fa scompare da una famiglia di ricconi una ragazza. Il tema della borghesia avida e meschina, degli scheletri nell’armadio e delle violenze domestiche fa parte del bagaglio di scrittori e registi scandinavi. Qui però si gioca più sporco, lo zio è convinto che è un assassinio e che l’autore del delitto sia un membro della famiglia. Assolda il giornalista Mikael, poi la storia incontra la ragazza dimenticata da Dio, bisessuale, tutta piercing e occhi furenti. La violenza di certe scene, lo stupro che subisce Lisbeth e lo stupro che a sua volta lei compie sul suo aguzzino… «Le donne mi hanno detto brava, gliel’hai fatta pagare a quel porco. Ogni anno in Svezia, su 9 milioni di abitanti, avvengono 100 mila casi di violenza alle donne, denunciati solo il 25 per cento. Ho ignorato le pressioni per le aspettative, ho cercato dentro di me la verità». Il film, crudo e asciutto come il libro, ha però «un tono più realistico». Il regista degli altri due film dalla saga, già girati (i due eroi non cambiano) è Daniel Alfredson. Il secondo, La ragazza che giocava con il fuoco, potrebbe andare al Festival di Roma.
[fonte: Corriere.it – Valerio Cappelli]