Sarà un anno orribile questo, l’ha garantito Giulio Tremonti. La fila dei disoccupati agli angoli delle fabbriche misura oramai esattamente la distanza che separa la moltitudine, di ogni ceto, razza, lingua e religione, dagli eletti. Segno dei tempi è il ragù politico, il piatto di pasta servito alla buvette dei senatori il cui costo – collassato a un euro e cinquanta centesimi per deliberata e generosa scelta del gestore del catering – è stato fatto subito risalire dal presidente del Senato a un euro e ottanta, più in linea e rispettoso dei sentimenti dell’opinione pubblica.
C’è una parola, una sola, che pone alcuni lavori fuori dal comune, li innalza e li tonifica: il privilegio. L’extra che cambia il corso della busta paga, consola la vita anche quando è sul punto di finire. E produce quel miracolo che appunto si definisce privilegio, frutto del diritto che cambia natura.
Tutto ha un prezzo. Il silenzio, per esempio. Stare zitti è una fatica e ha il giusto costo. E morire, oltre al dolore inconsolabile, comporta una serie infinita di pratiche e di cerimonie che vanno obbligatoriamente fatturate. L’Iva, la maledetta Iva.
Il premio alla carriera. Una questione a parte, senza volere entrare nel merito del tema che qui lambisce la terra e il cielo, è il pacchetto dei premi fine vita. Apriamo parentesi. Prima della morte, ma forse più dolorosa di essa, c’è la fine della carriera politica, la fine dei sogni e della gloria. Il politico che lascia ottiene un vitalizio. Lo dice la parola stessa: il vitalizio non è la pensione e quindi lo si può raccogliere, a certe condizioni, anche da giovani. E’ qualcosa di diverso e, stando all’etimo, sicuramente di vitale.
Antonio Martusciello a soli 46 anni ha lasciato Montecitorio. Per quattordici anni di fila ha servito le Istituzioni e Forza Italia. Se riscatta quattro anni di contributi può godere di un vitalizio formidabile: 7.958 euro (lordi) mensili. E il 49enne Alfonso Pecoraro Scanio, 16 anni trascorsi a Montecitorio, con un minimo riscatto raggiunge il traguardo degli 8.836 euro (lordi) in tasca, senza temere i nuovi ricalcoli pensionistici, il famigerato scalone, espressione che indica ancora lavoro e ancora per tanti anni per i sessantenni.
Oltre al vitalizio, conquistato calcando la scena, a fine carriera si aggiunge un affidamento in danaro a titolo di “solidarietà” o di “reinserimento sociale”. L’assegno è pari all’80 per cento dell’indennità per il numero degli anni in cui ha frequentato il Potere. Ti hanno cacciato dal Parlamento e ora? L’anziano Armando Cossutta ha ottenuto 345.600 euro, per esempio. Il più giovane Clemente Mastella 307.328 euro. Proprio Mastella, causa licenziamento, ha raccolto il dovuto: vitalizio (9600 euro lordi mensili) e assegno di solidarietà. Ma il reinserimento sociale non è riuscito, Clemente ha vagato meno di un anno e sta per tornare nel punto esatto da dove era partito.
L’indennità funeraria. Trombato e premiato perciò. L’indennità, e qui entriamo in una speciale categoria, accompagna la vita del vivo e permette di dare sollievo ai familiari qualora il de cuius abbia davvero deciso di smettere e per sempre. In Veneto si chiamava indennità funeraria. In Sicilia, forse per non dare nell’occhio, la tipologia si è classificata più proletariamente come “sussidio di lutto”. Così, il deputato palermitano Giovanni Ardizzone non ha fatto mistero di aver avuto una qualche perplessità anche di natura scaramantica allorché, nel corso del suo mandato di questore dell’Assemblea siciliana, si è trovato a firmare un paio di provvedimenti che erogavano “sussidi di lutto”. E ha scoperto, dopo aver chiesto delucidazioni, che nella ricca e antica collezione di decreti del consiglio di presidenza dell’Ars c’è un atto che concede una somma fino a 5 mila euro per le spese relative a funerali di deputati in carica o cessati dal mandato. Soldi ovviamente destinati alle famiglie del caro onorevole estinto. Se l’è cavata magnificamente Ardizzone: “Cosa dire? Noi parlamentari siamo previdenti: pensiamo al nostro futuro. Anche dopo la morte”.
Nel 2007 per i “sussidi di lutto” in Sicilia sono stati spesi 36.151 euro. In Veneto non si sa, ma il presidente del consiglio regionale, il leghista Marino Finozzi, interrogato sul triste tema del trapasso, ebbe come un sobbalzo e sinceramente rispose: “Io penso che un contributo pubblico alle spese di funerale per una persona che ha speso 10, 15 o più anni della vita per servire le istituzioni e i cittadini non sia un grande scandalo”.
Tocchiamo ferro e badiamo al presente. È un’ora grave, la recessione economica sta travolgendo consuetudini quasi secolari: il Quirinale ha detto addio a 37 corazzieri (da 260 passeranno a 223) le senatrici hanno visto abolito il loro assegno per il parrucchiere, un bonus mensile di 150 euro. “Sono ancora piccole cose”, hanno scritto i senatori questori. Piccole ma che danno il segno di un’era nuova, e dei sacrifici che attendono davvero tutti.
La corsia preferenziale. Le piccole cose si fanno poi grandi col crescere delle responsabilità. Conoscete un privilegio più tondo ed esibito di una guida contromano? Il comune di Palermo ha deliberato che i politici, di ogni risma e colore, debbano essere agevolati nel loro movimento. Viaggeranno in corsia preferenziale, ridurranno a una legittima concessione contromano l’attesa di far presto e bene. Ogni cosa al suo posto e ogni responsabilità al livello che merita. Il 22 agosto scorso una circolare di palazzo Chigi ha riclassificato le urgenze e le potestà mutando nel profondo le condizioni del passaggio aereo di Stato. Romano Prodi aveva incautamente ristretto il numero dei beneficiati obbligando persino fior fiore di ministri a giustificare la propria richiesta di volare alto e bene. Silvio Berlusconi ha ricondotto la spesa nei suoi limiti fisiologici: qualche milione di euro in più si spenderà, e però vuoi mettere la resa? Efficienza e velocità per tutti. Quindi tutti imbarcati: premier e consiglieri, ministri e viceministri, persino sottosegretari. Quando e come chiedono, facendo attenzione solo alle coincidenze.
Il costo del silenzio. Bisogna capirsi – e una volta per tutte – dove finisce il privilegio e dove inizia il dovere. L’obbligo per esempio di tenere la bocca cucita. Quando i capi dei servizi segreti Emilio Del Mese, Niccolò Pollari e Mario Mori hanno lasciato il comando, l’Espresso – curioso – fece due conti sulla liquidazione straordinaria che avrebbero ricevuto: la fissò in un milione e ottocentomila euro. Tra le tante voci che avrebbero prodotto una pensione da favola (circa 31 mila euro lordi al mese) per una carriera quarantennale davvero straordinaria bisognò tener conto anche del tributo a una vita pericolosa e soprattutto silenziosa. Allo stipendio si aggiunge infatti, per chi opera nei servizi, un’indennità particolare di funzione che, tra gli addetti, viene definita “indennità di silenzio” e quasi raddoppia l’emolumento base. Voce che poi, alla fine della carriera, viene conteggiata per la quiescenza. Silenzio d’oro, compenso perpetuo. Ma è un trattamento riservato unicamente ai capi. I sottoposti, al momento della pensione, non si portano dietro quella ricca indennità.
Questi tempi moderni hanno anche impresso un’autentica accelerazione allo scambio di idee e di proposte. Con internet tutto si è fatto non solo più semplice ma straordinariamente veloce. E sia il Senato che la Camera consegnano a ciascun eletto, ad ogni inizio di legislatura, hardware e software necessari. Il parlamentare riceve il suo computer (che a fine mandato conserverà) in modo che ovunque si trovi, ovunque, sia nella condizione di lavorare. Qualche mese fa la signora Anna, disperata, (tre figli minorenni e senza lavoro) ha scritto una mail a tutti i parlamentari e ha invocato aiuto. Anna non esisteva e la sua disperazione era finta. Era un modo per testare l’apparato tecnologico in dotazione. Dal momento dell’invio al momento della lettura della mail sono trascorse in media due settimane. Il 42 per cento dei senatori aveva però e purtroppo la casella di posta piena. Alla signora Anna hanno alla fine risposto in 26 che, su 994 destinatari, rappresenta il 2,7 per cento. Non male.
Auto blu e super autista. A ciascuno il suo e ad alcuni autisti, per esempio, una retribuzione maiuscola, calcolata sul giusto: il rischio, la velocità, la fatica di guidare anche di notte. Di pochi giorni fa la notizia che la Camera dei deputati ha riconosciuto, dopo una annosa vertenza, il secondo livello retributivo ai suoi autisti. Porterà a 10.164 euro la retribuzione mensile lorda (dopo 35 anni di lavoro) a chi conduce l’auto blu. Più di quattromila euro netti al mese. Tre autisti dell’Atac ci vogliono per farne uno della Camera. Ma il Parlamento è un mondo a parte, non fa testo. Un bravo barbiere, se riesce a imboccare il portone di Montecitorio, supera in progressione e di molto lo stipendio di un magistrato d’appello (fermo a 98mila euro l’anno), e un operaio specializzato (tubista, elettricista) se ha la ventura di lavorare alla Camera è sicuramente nella condizione di raggiungere e superare lo stipendio di un professore universitario, persino di un cattedratico barone. Alla Camera ogni cosa ha costi elevatissimi, e persino le spese minute diventano mostruose: l’anno scorso 650 mila euro sono volati via proprio per la minutaglia, le spese vagabonde. Ma lì anche gli appendiabiti e chissà quale altro accessorio dei guardaroba (giacché le guardarobiere sono pagate a parte) sono valsi nell’ultimo bilancio un accantonamento monstre: 205 mila euro. Disse Goffredo Bettini, al momento di metter piede a Montecitorio: “Mio padre mi ha lasciato ricco. Sono diventato assai meno ricco quando per anni, come segretario del Pci di Roma non ho preso lo stipendio. Tuttavia il mio partito mi ha restituito i privilegi eleggendomi prima alla Regione e poi in Parlamento”. Privilegiato, esatto. Tra le cento carezze parlamentari anche una voce destinata alla lingua, a parlar bene e a farsi intendere meglio. Per la formazione linguistica ai deputati investiti nel 2008 900mila euro. In Parlamento si parla, nevvero?
[fonte: Repubblica.it – di Antonello Caporale]