Di fronte alla perdita del potere di acquisto degli italiani, alla stagnazione economica e alla perdita di competività del nostro paese, sarebbe necessario in Italia un ripensamento del sistema degli ammortizzatori sociali. Di fronte all’aumento dei prezzi e (di fatto) alla diminuzione dei salari, il sistema sociale italiano dovrebbe finalmente introdurre il cosidetto “salario minimo” che, insieme al sussidio di disoccupazione, rappresenta nei principali paesi europei una garanzia contro il depauperimento della popolazione e uno stimolo a favore dell’occupazione. In Italia si tende invece sempre a privilegiare bizzarramente la popolazione in pensione piu che quella attiva, col risultato che sempre piu gente va a lavorare nei paesi limitrofi, dove queste garanzie di civiltà sono un dato di fatto: insomma una sorta di nuova protoemmigrazione italiana che investe soprattutto i giovani. La politica della rendita purtroppo in Italia é una vecchia storia, ed oggi che ci sono più vecchi che giovani, la classe politica pensa bene di distribuire tesserini sociali ai pensionati. Risultato: ancora una volta i nonni sosterranno finanziariamente i nipoti ventenne e trentenni, che vantano contratti da 1000 euro al mese (forse). Quando sarebbe il caso che i giovani guadagnassero il doppio, consumassero il doppio e, chiudiamo il cerchio, aiuterebbero i loro nonni. Ma la classe politica italiana (anche la sinistra bizzarramente) non propone innovazioni come il salario minimo (che non é una cosa comunista, esiste anche negli Stati Uniti), ma anzi, paventa addirittura la fine dei contratti nazionali (anche nel Pd purtroppo si sente la voce di Enrico Letta ripeterlo spesso). Vi proponiamo dunque uno articolo speciale sopra un tema speciale, una vera novità per il nostro paese, una proposta che vada oltre la solita ricetta “privatiziamo tutto” come cura ad ogni male. Ecco a voi la più pericosa accoppiata di parole della politica italiana: salario minimo.
Definizione
Il salario minimo è la più bassa paga oraria, giornaliera o mensile che i datori di lavoro devono per legge corrispondere a impiegati e operai.
Introdotte per la prima volta in Australia e Nuova Zelanda alla fine del diciannovesimo secolo, le leggi sul salario minimo sono state poi introdotte in molti altri Paesi del mondo, e sono oggi in vigore nel 90% degli Stati del mondo. In Italia esistono pensioni minime, mentre un livello di salari minimi non è previsto da leggi nazionali, ma dalla contrattazione fra le parti sociali. Gli stage e i contratti a progetto non fanno riferimento ad alcun contratto nazionale di lavoro e ad un livello di inquadramento con il relativo salario base: i rapporti di lavoro regolati da queste tipologie contrattuali non prevedono alcun salario minimo.
Aspetti economici
Il salario minimo introduce un fattore di rigidità per il mercato del lavoro, che esclude quella parte della offerta di lavoro che sarebbe disposta ad accettare un salario inferiore a quello minimo imposto per legge, oppure un incentivo a farlo in nero, senza pagare le tasse. Il salario minimo può essere una barriera all’ingresso nel mercato del lavoro e un aggravio dei costi fissi (lavoro e capitale) per le imprese.
I favorevoli ritengono che, se fissato ad un opportuno livello prossimo ai minimi dei prezzi correnti di mercato, non generi certamente di un aggravio per la libera impresa. Ritengono poi che lo Stato debba coniugare le esigenze di bilancio con la dignità del lavoratore e della persona, e che lo Stato non debba occuparsi esclusivamente dell’emersione del sommerso, ossia della regolarizzazione del lavoro nero e precario come mezzo per recuperare l’evasione fiscale e aumentare il gettito nelle casse dell’erario. La regolarizzazione può consistere nella semplice legalizzazione delle condizioni di lavoro attuali, oppure con particolari contratti di lavoro può comportare un’acquisizione di diritti a vantaggio del lavoratore (ferie, maternità, malattia, assicurazione antinfortunistica). È opinione dei sostenitori del salario minimo, che al di là e prima delle coperture dello Stato Sociale, il diritto fondamentale sia quello di una paga oraria dignitosa.
Il salario minimo, come tentativo di controllare i prezzi di un mercato, può rappresentare un incentivo al mercato nero del lavoro. Può essere, viceversa, inteso anche come un mezzo per un emersione del lavoro nero che non significhi legalizzare un reato di caporalato e lo sfruttamento della manodopera. La regolarizzazione può avvenire con contratti a progetto o simili che non fanno riferimento ad alcun contratto nazionale, e ad alcuna paga base, e dunque lasciano completamente libera la determinazione della paga oraria, e potenzialemnte uguale a quella del precedente lavoro in nero.
Le legislazioni dei Paesi Ue e fuori dell’Unione comunque sanciscono il principio per il quale debba esistere una paga oraria minima dei lavoratori, sebbene fissata e delagata con criteri diversi, direttamente dallo Stato o con una periodica contrattazione sindacato-imprenditori. La legge sul salario minimo opera una distinzione per età o per anzianità professionale, ma non per professione o settore merceologico di appartenenza. Dove non c’è un intervento dello Stato, la decisione è delegata alla contrattazione sindacale, ma la legge impone che ogni contratto di lavoro riferisca ad un contratto nazionale, e quindi al salario minimo in esso previsto.
Le legislazioni sul salario minimo, nei diversi Paesi, prevedono una rivalutazione periodica delle paghe minime, alla luce della produttività, del PIL, dell’Indice dei prezzi al consumo e dell’andamento generale dell’economia. La rivalutazione è imposta direttamente da Commissioni interministeriali permanenti.
Rispetto alle legge sulla Scala mobile, abolita nel 1992 in Italia, queste rivalutazioni non sono degli automatismi: la scala mobile prevedeva una formula di calcolo che indicizzava la paga base all’inflazione , e variava di conseguenza. La rivalutazione dei salari minimi segue non una discussione politica, che tiene conto di dati oggettivi.
Rispetto ad una legge sul salario minimo o sulla scala mobile, periodicamente rivalutate, la contrattazione collettiva fra sindacato e imprenditori è un modello alternativo. La concertazione accresce l’importanza del sindacato per l’ottenimento di aumenti della paga base e delle altre voci retributive, l’adesione dei lavoratori agli scioperi e il numero di iscritti al sindacato. Le richieste di aumenti retributivi sono la più frequente causa di scioperi, e un importante fattore nel tasso di sindacalizzazione. Come nelle altre associazioni, il numero delle quote di iscrizione rappresenta una delle principali entrate economiche e fonti di potere contrattuale del sindacato.
Nell’ordinamento italiano, il Contratto collettivo di lavoro si applica esclusivamente agli iscritti ai sindacati e associazioni di imprenditori che lo sottoscrivono.
La norma tutela in questo modo la libertà di associazione sindacale dei lavoratori e l’autonomia dei sindacati che possono non sottoscrivere l’accordo, senza il prevalere di un principio di maggioranza e della volontà di quelli più rappresentativi. Una giurisprudenza consolidata ritiene però che i minimi tabellari debbano applicarsi comunque a tutti i lavoratori di categoria, iscritti o meno al sindacato.
La concertazione fissa fino a doggi le regole del salrio minimo, in virtù di questo orientamento giuslavoristico, ma manca un riconoscimento di questa prassi da parte di una legge ordinaria.
In Italia, non c’è un’individuazione del salario minimo, nè da parte di una legge dedicata, nè di una norma che deleghi questo compito alla contrattazione collettiva, dandone efficacia per tutti i lavoratori.
Il salario minimo negli altri Paesi dell’ Unione Europea
Nell’unione europea numerosi stati quali Norvegia, Svezia, Finlandia, Danimarca, Svizzera, Germania, Austria e Cipro non hanno un salario minimo imposto per legge, ma delegano alla contrattazione fra le parti sociali tale decisione.
L’esempio della Spagna. Il salario minimo è espresso in termini di unità monetarie per ora, può essere aumentato dalla contrattazione fra imprenditori e associazioni di categoria per settore di apprtenenza, e il lavoratore può essere pagato al di sotto se si tratta di particolari contratti di formazione. Ammmontare condizioni relative al salario minimo sono disciplinate nello Statuto dei Lavoratori spagnolo, del 1970 e sono:
2004: 15,35 €/giorno, 460,5 €/mese ovvero 6447 €/anno (con 14 mensilità)
2005: 17,10 €/giorno, 513 €/mese ovvero 7182 €/anno
2006: 18,03 €/giorno, 540,9 €/mese ovvero 7.572,6 €/anno
2007: 19,02 €/giorno, 570,6 €/mese ovvero 7.988,4 €/anno
E’ rivalutato ogni anno in base al valore dell’indice dei prezzi al consumo, della produttività nazionale e della situazione conomica generale. Può essere rivisto semestralmente se l’inflazione reale è al di sopra dei valori previsti.
Il caso inglese. Nel Regno Unito la paga è di 5,52 sterline per i lavoratori che hanno compiuto i 22 anni di età. Il National Minimum Wage Act è stato uno dei temi ricorrenti del partito laburista inglese durante la campagna elettorale del 1997, ed è diventato legge il primo aprile del 1999. Prima di questa data non esisteva alcun salario minimo nazionale sebbene esistesse una varietà di sistemi di controllo dei salari, solitamente focalizzata su specifici settori industriali. Una delle ragioni per la presa di posizione del partito laburista è stato il declino del potere contrattuale e e del numero di iscritti alle organizzazioni sindacali negli ultimi decenni, oltre a dover garantire e diritti tutele minime nei settori, specialmente dei servizi, dove è molto più bassa la sindacalizzazione dei lavoratori.
Al primo ottobre 2007 risultano in vigore i seguenti salari minimi:
– 5,52 sterline per i lavoratori che hanno più di 22 anni;
– 4,60 sterline per un’ora di lavoro, per chi ha fra i 18 e 21 anni di età;
– 3, 40 sterline per i minori di 18 anni che non hanno terminato la scuola dell’obbligo;
– Nessun salario minimo per quanti non hanno ancora terminato la scuola dell’obbligo (che finisce tra i 15 e i 16 anni).
Il salario minimo è applicato anche a dipendenti delle agenzie di lavoro interinali, e a quanti praticano il telelavoro. Ne sono esclusi i volontari e i detenuti nelle carceri.
Altri paesi nel mondo
In Brasile, il salario minimo fu introdotto dal Presidente Getúlio Vargas con Decreto Legge nº 2162 del 1 Maggio 1940. La Nuova Costituzione del Brasile, del 1988, (Capitolo II dei Diritti Sociali, art.6) stabilisce il diritto di ogni lavoratore ad un salario minimo in grado di provvedere ai fabbisogni propri e della famiglia in termini di educazione, salute, sussistenza alimentare, trasporti, previdenza sociale, vestiario e igiene personale. Un contenuto analogo è presente all’art. 36 della Costituzione italiana, che afferma che “la retribuzione deve essere proporzionata alla quantità e alla qualità di lavoro e sufficiente ad assicurare al lavoratore ed alla sua famiglia un’esistenza libera e dignitosa”.
In Australia, il 14 dicembre 2005, è stata istituita una commissione permanente con l’incarico di adeguare il salario minimo federale, che attualmente ammonta a 13, 47 dollari australiani per un’ora di lavoro, oppure a 511, 86 dollari australiani per una settimana.
Negli Stati Uniti, il salario minimo ammonta a 5,85 dollari americani per un’ora di lavoro.
Fonte: wikipedia