Che cosa si intende in genere con l’espressione “altra verità”? Solitamente si tratta di una verità scomoda, che non si vuole vedere, non si vuole sapere, che si lascia dietro le sbarre del perbenismo.
E cosa si intende per “diverso”? Sostanzialmente il diverso è colui col quale è scomodo confrontarsi, che si preferisce tenere dietro le sbarre della propria coscienza, perché ci racconta una parte di noi che vogliamo tenere celata.
Ed è proprio da queste sbarre che Alda Merini racconta la sua verità, sbarre umane prima di essere sbarre del manicomio dentro il quale è stata internata per ben venti anni. Nasce così “L’ altra verità. Diario di una diversa“.
Non aspettiamoci però un resoconto esatto delle brutture subite. Il diario non vuole essere nelle intenzioni dell’autrice una confessione. Cosa che, resa in termini effettivi, avrebbe, a parer suo, costituito solo materia di studio per psichiatri.
Pur non mancando un tessuto tramativo, per quanto a-temporale e frammentato, il diario assume, grazie alla sua prosa liricheggiante, l’aspetto di una epifania, di un insieme di ricordi , considerazioni, sospesi sul filo dell’emotività, che lo elevano al di sopra del piano meramente descrittivo. Questa scelta stilistica, del resto, si mostra, come la Merini affermerà più volte,addirittura necessaria: lei stessa non avrebbe potuto ripercorrere quegli anni se non col filo della poesia. Perché a salvarla da quelle brutture è stato proprio il suo animo fanciullesco.
“Del resto ero poeta”, esordisce nel suo scritto la Merini. E’ proprio questa sua condizione peculiare, ancor prima del suo essere diversa, pazza, che la accompagna negli anni dell’internamento e le permette di salvarsi, di non impazzire per davvero: perché solo continuando a vedere il bello nel brutto, il poetico nel deprimente, ha potuto rimanere integra a se stessa.
Questo l’unico motivo della sua salvezza.
In ogni lurida stanza, in ogni lineamento dei malati, in ogni trattamento disumano subito, in ogni reazione remissiva o meno, c’è la necessità interiore, nella Merini, di una trasfigurazione poetica, per ricordare a se stessa e alle sue compagne, e in seguito anche ai suoi compagni, la loro dignità di persone.
E’ il trionfo della vita sulla morte, delle bellezza sulla bruttura. E con questo suo animo fanciullesco Alda ci fa conoscere e ci parla del suo primo internamento al Paolo Pini a Milano, su richiesta stessa del marito. Ci fa conoscere le condizioni dei malati prima della legge Basaglia, le umiliazioni, le violenze, i maltrattamenti inferti da medici e infermieri solo perché al di là del loro steccato di normalità.
Ci parla della sua famiglia, dei suoi figli, visti al di qua della malattia, in un crescendo di incomprensione e indifferenza che areca ad Alda solo altro dolore. Ci racconta dell’amore, ai tempi dell’abolizione dei padiglioni separati tra donne e uomini, per il suo dolce Pierre, fatto di coccole, tenerezze, ma che non manca di dare un frutto concreto, una bella bimba, causa del sucessivo internamento di Pierre in un cronicario. Alda torna sola, lasciata a se stessa.
Tuttavia il suo animo resiste, rimane l’animo di una fanciulla, capace di rimanere semplice, pulito, presente a se stesso. Emblematico a questo proposito un passo del diario:
“ Ma il giorno che ci apersero
i cancelli, che potemmo toccarle con le mani quelle rose
stupende, che potemmo
finalmente inebriarci del lor
destino di fiori.
divine, lussureggianti rose!
Non avrei potuto scrivere
in quel momento nulla che
riguardasse i fiori perché io stessa
Ero diventata un fiore, io stessa
avevo un gambo e una linfa.”
Dunque un animo capace ancora di guardare al bello, e di cogliere anche in quell’inferno una scintilla divina, quella che è in ognuno di noi. La Merini si eleva a diventare fiore, sole, erba, tutto ciò che di vivo e lussureggiante possa esserci.
Credo di avere letto pochi altri passi così commoventi, a testimoniare come alla fine, così come la Merini stessa afferma, la pazzia non esiste, è solo un vuoto incolmato d’amore. Un libro disarmante, soprattutto se si pensa che Alda svela alla fine una altra sfumatura della sua verità, ovvero come l’internamento al Paolo Pini non abbia costituito il vero inferno. Il vero inferno è fuori, negli occhi di chi ti critica, ti giudica, di etichetta come diverso.
Ma Alda in questo libro non rinnega, anzi rivendica la sua diversità. Diversità che va rispettata.
Grazie per averci lasciato queste righe d’amore.