Spagna, dunque. La Nazionale dei piccoli toreri e del dolce stil diverso, prima in Europa e, ora, campione del Mondo. Succede all’Italia di Marcello Lippi dopo aver regolato di misura l’Olanda. Ha risolto, in coda ai supplementari di un’omerica zuffa, la lama affilata di Andres Iniesta. Il rosso a Heitinga aveva lasciato gli olandesi in dieci. Colpa loro, non dell’arbitro, la cui pigrizia aveva contribuito a illuderli. Non è stata una finale da leccarsi i baffi, come documentano l’espulsione e gli undici ammoniti (otto orange). La Spagna ha cercato la vittoria più degli avversari e, per questo, l’ha meritata. E’ l’ottavo cliente a entrare nel club esclusivo dei campioni del mondo, la prima europea ad alzare la coppa in un altro continente. Complimenti, di cuore, a «Vincente» Del Bosque.
Da Italia-Francia a Olanda-Spagna, da Berlino a Johannesburg: sono passati quattro anni e il mondo scopre di avere fretta. Dopo averlo ignorato e quasi schivato, cerca un padrone in novanta minuti o giù di lì. La coppa in mano a Fabio Cannavaro suscita ricordi, palpiti, emozioni che nessuna Slovacchia cancellerà. La finale mai vista comincia, così, da un bacio e da un invasore che, giulivo, puntava dritto al trofeo. E’ imbarazzante la facilità con la quale gli spagnoli atterrano sulla partita, e ne prendono possesso. Da Xavi a Busquets a Iniesta, ognuno segue la propria rotaia. Se aspetti che sbaglino, campa cavallo; se li vai a pressare, rischi di trovarteli in porta. Le scaramucce introduttive le firma tutte Sergio Ramos: gran capocciata su punizione di Xavi (pugni di Stekelenburg); feroce sgroppata nel cuore dell’area, murata da Heitinga. Faticano, Sneijder e Van Bommel, a raffinare la manovra. Robben viene servito sempre in anticipo o in ritardo, mai sulla corsa. Van der Wiel e Van Bronckhorst si sporgono poco, paralizzati dall’altrui torello.
La sfida si consegna a una noia vigile, sporcata da tackle violenti. Non che le furie siano orsoline, penso ai rostri di Puyol, ma Van Bommel su Iniesta rischia il rosso e De Jong su Xabi Alonso, puro karate, lo meriterebbe tutto: Webb si limita al giallo e sbaglia. Capisco non voler rovinare una finale già al 28’, ma se qualcuno ci tiene ed eccede, cavoli suoi. Cinque ammoniti in meno di mezz’ora (e come minimo, manca Sneijder) testimoniano di una sfida, brutta e brulla, che la terna non riesce a governare e l’Olanda non vuole subìre. Per registrare un tiro che sia tale, bisogna attendere il sinistro di Robben, agli sgoccioli del recupero: Casillas è lì, scattante.
Alla ripresa, la Spagna zompa sul centro del ring e ricomincia a spingere indietro i rivali. Capdevila sciupa una preziosa sponda di Puyol, Mathijsen e Heitinga invocano rinforzi, Sneijder si moltiplica su Xavi e Iniesta, e anche per questo, poveraccio, latita in attacco. Non è una «bella» che stuzzichi il palato dei neutrali, ridotta com’è a una processione di formiche attese al varco da truci secondini, l’ultimo dei quali, Heitinga, timbra la caviglia di David Villa. Alla faccia del calcio totale. Di agguato in agguato, l’ordalia ne esce sfigurata e tormentata. E’ il quarto d’ora, quando Del Bosque avvicenda Pedro, un cerino bagnato, con Jesus Nava. D’improvviso, al 16’, Sneijder taglia la difesa (ciao Puyol, ciao Piqué) e smarca Robben a tu per tu con Casillas, la cui parata, strepitosa, non dispiacerà al destino.
Il tamburello, adesso, si profila più equilibrato anche se sempre avaro. Un goffo liscio di Heitinga spalanca la porta a David Villa che però, per un sortilegio dovuto ai riflessi del portiere e al rimorso del difensore, s’impapera sul più bello. Si procede per episodi, per imboscate, nella speranza di sedurre gli déi. Siamo ai livelli, infimi, di Germania-Argentina dell’Olimpico romano. A Kuyt, spremuto, subentra Elia. Xavi e Xabi si sforzano di liberare Villa sotto porta, Sergio Ramos, di testa, si divora un gol fatto, una volatona del tarantolato Robben semina il panico fra Puyol e Casillas: sono le briciole dell’ultima cena. Con Fabregas al posto di uno Xabi Alonso meno fiammeggiante del solito, si rotola istericamente verso i supplementari. Il disegno di Van Marwijk è chiaro sin dall’inizio: giocare come l’Inter di Mourinho giocò con il Barcellona. Se la fase difensiva ne è una copia abbastanza fedele, altrettanto non si può dire della manovra d’attacco, arida e confusa. Non più di un paio di occasioni, entrambe buttate da Robben. Squadre lunghe, Stekelenburg si supera su Fabregas, liberato in contropiede da Iniesta. Tocca a Van der Vaart (fuori De Jong); Jesus Navas, prezioso, impegna strenuamente il portiere. Leziosa e noiosa, la Spagna ci prova fino in fondo, di questo le va dato atto. La staffetta tra Villa e Torres inaugura l’ultimissimo round, subito solcato dal rosso, per cumulo, a Heitinga: aveva abbattuto Iniesta, sguinzagliato da Xavi. Finiscono, i batavi, come avevano cominciato: picchiando come fabbri. Il gol di Iniesta diventa, così, un piccolo ma sincero atto di giustizia. L’azione è caotica, non il passaggio di Fabregas, splendido. Iniesta, lui che aveva già salvato il Barcellona dalle unghie del Chelsea, non perdona. Campione d’Europa e del Mondo, il calcio è rosso, il calcio è Spagna.
[fonte: La Stampa]