«I numeri primi sono divisibili soltanto per uno e per se stessi. Se ne stanno al loro posto nell’ infinita serie dei numeri naturali, schiacciati come tutti fra due, ma un passo in là rispetto agli altri. Sono numeri sospettosi e solitari e per questo Mattia li trovava meravigliosi. Certe volte pensava che in quella sequenza ci fossero finiti per sbaglio, che vi fossero rimasti intrappolati come perline infilate in una collana. Altre volte, invece, sospettava che anche a loro sarebbe piaciuto essere come tutti, solo dei numeri qualunque, ma per qualche motivo non ne fossero capaci». La passione di Mattia per la matematica è assoluta. Di più: è l’ unico, possibile risarcimento di un incolmabile deficit esistenziale. Soltanto grazie a queste sue riflessioni di giovane studente universitario egli riesce a mettere a fuoco una tragica esperienza dell’ infanzia. La quale a sua volta rimanda al non meno terribile imprinting esistenziale di Alice, una sua coetanea che ora si sta avventurando nella strada della fotografia: «In un corso del primo anno Mattia aveva studiato che tra i numeri primi ce ne sono alcuni ancora più speciali. I matematici li chiamano primi gemelli: sono coppie di numeri primi che se ne stanno vicini, anzi quasi vicini, perché fra di loro vi è sempre un numero pari che gli impedisce di toccarsi per davvero». Ecco, Mattia e Alice sono in qualche misura apparentabili a dei “primi gemelli”. E lo sono giust’ appunto perché segnati entrambi da un dolore atroce, da una falla rovinosa che ha per sempre marcato le loro vite unendoli in tale indicibile dolore; falla di cui danno conto i tumultuosi e strazianti capitoli iniziali del romanzo d’ esordio di Paolo Giordano (bello sin dal titolo: La solitudine dei numeri primi, Mondadori, pagg. 304, euro 18). Aveva pochi anni Alice, quando costretta dalle ossessioni agonistiche del padre, era montata controvoglia sugli sci in una mattina di nebbia fittissima. La bambina era stata male di stomaco e se l’ era fatta sotto e si era persa sulla montagna. E infine aveva avuto un terribile incidente dal quale sarebbe uscita per sempre zoppa ed anoressica. In quegli stessi anni Mattia si accompagnava a una sorellina gemella ritardata, Michela. E se ne vergognava a un punto tale che quando i due erano stati invitati alla festa di compleanno di un compagno di scuola, Mattia l’ aveva lasciata al parco dicendole di aspettarlo lì. Ma Michela era scomparsa nelle acque del fiume che tagliava il parco a metà e il fratello, per punirsi, si era tagliato in profondità una mano. E avrebbe continuato a torturarsi negli anni a venire, nel vano tentativo di saldare un orribile senso di colpa. Paolo Giordano, l’ autore del romanzo, ha solo venticinque anni. Ed è davvero sorprendente con quale puntualità e precisione questo giovane scrittore torinese governi una materia tanto scottante quale quella di due bambini che hanno incontrato, ciascuno a suo modo, l’ orrore. Né meno sorprendente è l’ abilità nel descrivere la loro adolescenza, segnata da una totale mancanza di naturalezza; la stessa, peraltro, che sembra toccare l’ intero gruppo di ragazzi e ragazze con cui i due vengono a contatto. A cominciare da Viola, la bella della compagnia, che oscilla tra l’ esibizionismo delle sue conquiste maschili, vere o presunte, e un impressionante sadismo esercitato nei confronti delle amichette. Animato da un pathos tanto forte quanto trattenuto in ordine alla fatica della relazione amorosa e alla solitudine che immancabilmente ne discende, giova evidentemente a Giordano la sua formazione scientifica (dalle note editoriali apprendiamo che è impegnato in un dottorato di ricerca in fisica delle particelle). Quasi che il suo ideale segua un’ altra celebre pista letteraria, volta a coniugare “anima” ed “esattezza”. Solo che per i personaggi di questo singolare Bildungsroman si tratta di due poli incompatibili. Mattia è ossessionato dal miraggio della chiarezza cerebrale, che finisce però per paralizzarne il comportamento. Alice è schiacciata dal «peso delle conseguenze», dall’ idea che ogni azione compiuta risulti ai suoi occhi irrimediabile, definitiva. Entrambi sono esseri inadeguati alla vita, come dimostra il pessimo rapporto con la propria fisicità. Mattia «aveva la postura di chi non sa occupare lo spazio del proprio corpo», e per Alice vale altrettanto: «non abbassava neppure le persiane, le bastava chiudere gli occhi per ignorare la luce, per cancellare gli oggetti che la circondavano e dimenticare il suo corpo odioso, sempre più debole ma ancora tenacemente attaccato ai pensieri». Il loro legame nascerà proprio da qui; dal reciproco riconoscimento di una costituiva inadeguatezza. Sin da ragazzi, scrive Giordano, li congiungeva «un arco sottile. C’ era uno spazio comune tra di loro, i cui confini non erano ben delineati, dove sembrava non mancare nulla e dove l’ aria pareva immobile, imperturbata». Mattia e Alice avevano riconosciuto la propria solitudine l’ uno nell’ altra. E si erano convinti che tale affinità fosse sufficiente per unirsi in comunione. Ma le vicende della vita adulta mostreranno a entrambi che il filo elastico ed invisibile di una mancanza condivisa non è sufficiente a creare un vincolo amoroso.
[di Franco Marcoaldi – fonte: Repubblica.it]