Nei giorni scorsi mentre a Roma si discuteva di cultura digitale e politica dell’innovazione ed il Governo sordo alle richieste della Rete proseguiva sulla sua strada insediando l’ormai famigerato Comitato per la lotta alla Pirateria multimediale (ma non anche per la promozione della cultura digitale), dall’altra parte dell’oceano YouTube e Facebook, due dei più grandi protagonisti della stagione moderna della cultura digitale, assumevano due decisioni che fanno riflettere: il primo, rivedendo le proprie policy in materia di copyright, ha deciso di eliminare le tracce audio musicali dai video oggetto di contestazione mentre il secondo si è spinto a “censurare” le foto di mamme sorridenti intente, ritengo, in uno dei momenti più intensi della vita di una donna.
La Rete, in un caso e nell’altro, è insorta e sul banco degli imputati, nel processo mediatico, sono finiti Google, padrone di YouTube, e Facebook: il primo accusato di limitare prepotentemente la creatività dei propri utenti ed il secondo di ergersi a tenutario di un’inesistente pubblica morale globale, decidendo che il gesto dell’allattamento è suscettibile di offendere la sensibilità dei più.
Entrambe le accuse sono fondate ma i destinatari – quelli che un avvocato definirebbe legittimati passivi delle azioni – sono quelli sbagliati.
La responsabilità di quanto accaduto – e di quanto deve ancora accadere – è solo ed esclusivamente nostra, dei nostri Governi, dei nostri legislatori e Giudici.
Le decisioni di YouTube e Facebook, infatti, sono, entrambe diretta conseguenza dell’orientamento che va diffondendosi in tutta Europa che vuole – in aperta violazione di uno dei principi fondamentali del diritto della Rete – che gli intermediari della comunicazione possano essere chiamati a rispondere dei contenuti pubblicati dai propri utenti.
Dinanzi a tale orientamento gli intermediari si difendono restringendo progressivamente l’ampiezza della libertà degli utenti di esprimersi ed esprimere la propria personalità e cultura attraverso i loro servizi ed infrastrutture e, così facendo, cercando di prevenire ed evitare possibili contestazioni.
A sbagliare sono dunque Governi e legislatori che non hanno ancora compreso l’urgenza di ribadire – anche in relazione a figure di intermediari della comunicazione diversi da quelli presi espressamente in considerazione dal legislatore europeo con la Direttiva 31/2000 – il principio della non responsabilità dell’intermediario ma, anche i Giudici, che, in troppi casi, si son, sin qui, lasciati ingannare da un’analogia solo apparente: quella tra User generated content ed editore.
Non sarebbe, tuttavia, giusto sottrarre noi stessi dal novero dei soggetti responsabili dello scenario del quale i due recenti episodi rappresentano, a mio avviso, solo un timido preludio.
Noi utenti della Rete, infatti, troppo spesso la utilizziamo con disinvoltura e scarsa attenzione al valore ed al peso dei bit e, soprattutto, con l’assurda pretesa di poter condividere cultura, rapportarci ad altre persone ed interagire con esse a volto coperto.
Così facendo, probabilmente senza rendercene conto, stiamo facendo il gioco di chi vorrebbe riprodurre in Rete le tradizionali dinamiche della circolazione dei contenuti: un produttore, un distributore e milioni di utenti destinatari passivi di cultura perché impossibilitati a produrne e distribuirne di propria.
Forse non è ancora troppo tardi per cambiare direzione.
Occorre mettere mano con urgenza ad alcuni interventi normativi non più procrastinabili: ridefinire le libere utilizzazioni nella circolazione dei prodotti culturali digitali, intervenire sulla disintermediazione della gestione dei diritti d’autore nel contesto telematico, chiarire limiti ed ambito di applicabilità del principio irrinunciabile della non responsabilità degli intermediari della comunicazione ed introdurre un sistema di anonimato protetto che nel rispetto della privacy dell’individuo consenta all’Ordinamento, ove necessario, di imputare ogni azione al suo autore e non già a chi del tutto inconsapevolmente gli ha consentito di porla in essere.
Abbiamo già tolto la voce ai bambini che non possono più canticchiare a squarciagola nei video di YouTube e tolto alle mamme il piacere di condividere i loro sorrisi nel momento dell’allattamento con i propri amici… cambiamo direzione prima che sia troppo tardi.
[fonte: Punto Informatico – Guido Scorza]