In un mondo in cui la tecnologia non solo condiziona la vita degli individui, ma rende addirittura possibile scandagliare l’ inconscio umano attraverso invasioni oniriche, Dom Cobb (Leonardo Di Caprio) ruba pensieri dalla mente delle persone: è un ladro specializzato nel furto di informazioni segrete, recuperate penetrando all’ interno dei sogni delle vittime, sfruttando la vulnerabilità data dall’ incoscienza.
Un potente uomo d’ affari giapponese, Saito (Ken Watanabe), affida a Cobb il compito di compiere l’operazione opposta: un innesto (l’inception, appunto), ossia non estrarre un segreto da una mente, ma infiltrare in essa un’ idea: dovrà convincere Robert Fischer Jr (Cillian Murphy), il figlio del rivale in affari di Saito, a frammentare l’ impero che erediterà alla morte dell’ avido padre. Il compenso sarà per il protagonista la possibilità di ottenere un visto per rientrare negli Stati Uniti, dove è ricercato per omicidio, e raggiungere i figli che non vede da tempo.
Ha inizio un viaggio tra sogni che progressivamente s’ intrecciano e scendono a livelli sempre più profondi. Per creare l’ innesto richiesto bisogna costruire una complicata architettura immaginaria, fatta di alternanze tra piani differenti. Per sondare la mente umana, e soprattutto per influenzarla intimamente, è necessario creare sogni all’ interno di altri sogni. È affascinante analizzare la complessità della struttura temporale della pellicola: nel sogno il tempo scorre molto più velocemente rispetto alla realtà e questa velocità cresce in misura esponenziale man mano che si scende di livello, cioè man mano che si passa dal sogno al sogno nel sogno e così di seguito. Il risultato è che ore (ma anche giorni, mesi, anni) di vita sognata corrispondono a pochi minuti di vita vissuta, ma il rischio è di restare intrappolati nell’ esistenza parallela, confondendola con la realtà.
L’ impresa che si prospetta a Cobb e alla sua squadra è enormemente rischiosa, perché si avvinghia alla storia personale del protagonista, incapace di lasciare andare il ricordo della moglie morta, continuamente presente nel suo inconscio e lì intrappolato dai suoi sensi di colpa. Una mescolanza tra generi filmici differenti quindi, che impedisce di etichettare Inception come film d’ azione o di fantascienza: l’ azione c’è, gli effetti speciali anche, ma sono solo due dei tanti ingredienti di un dramma in cui romanticismo e difficoltà di accettazione della perdita di un importante legame affettivo, così come l’ impossibilità di superare rimpianti e rimorsi, si legano ad una sapiente indagine dell’inconscio umano. Attraverso una pellicola quasi impossibile da descrivere a parole Nolan sembra suggerire che il sonno non metta in pausa la vita, ma che con esso si crei una dimensione parallela, in cui è possibile disperdersi, invecchiare e soprattutto vivere un’ esistenza apparentemente perfetta, ed è proprio questa perfezione che allontana dalla vita reale.
Chissà se il regista ha pensato a Proust mentre lavorava alla sceneggiatura. Se sarebbe eccessivo definire Inception un “ film proustiano” è d’ altra parte vero che alcuni rimandi alla monumentale Recherche si possono cogliere: la fragilità psichica del protagonista, lo sfasamento temporale che coinvolge lo spettatore e soprattutto la costante presenza di un tempo perduto, quindi passato, ma con influenze sul presente. Se in Proust è la memoria che permette di rievocare il tempo trascorso, con Nolan è il sogno a diventare archivio di ciò che non vogliamo dimenticare e diventa un sorta di proustiana memoria involontaria in cui riaffiora inconsciamente il rimosso. Attraverso il mondo parallelo del sogno il tempo perduto diventa tempo ritrovato, non solo rievocato, ma quasi rivissuto, anche se si tratta di vita apparente.
È possibile azzardare un paragone contrastivo con una precedente opera di Nolan: Memento (2000), in cui l’illustrazione dello sconvolgimento interiore della persona è ravvisabile nel corpo tatuato a mo’ di promemoria e nelle innumerevoli polaroid per ricordare ciò che a breve termine viene dimenticato. In Inception, invece, tale sconvolgimento non è esteriormente visibile, ma è da ricercare nei gangli più segreti e più intimi dell’ inconscio, in cui nulla viene dimenticato, ma tutto viene archiviato e soprattutto custodito. Ma è il gioco di corrosione e ristrutturazione della linearità narrativa che permette di instaurare il paragone più interessante tra le due pellicole. Se con il montaggio incatenato di Memento Nolan distrugge tale linearità per sottolineare la necessità umana di ancorare la vita ad una successione temporale di eventi, con Inception dimostra di essere perfettamente in grado di articolare una vicenda, che lineare non è, in livelli narrativi esponenzialmente differenti, ognuno dei quali può contenere una storia a sé stante, ma rendendo il tutto assolutamente comprensibile agli occhi dello spettatore, nonostante permanga qualche buco narrativo (il cervello umano esce necessariamente deteriorato dal limbo? è quello che succederà a Saito, ferito a morte nel primo livello di sogno e impossibilitato a svegliarsi nella realtà? Perché a Cobb non è successo nonostante sia oniricamente invecchiato di cinquant’anni proprio nel limbo?).
La facilità con cui è possibile seguire la vicenda è anche favorita dalla presenza di un personaggio per certi versi “banale”: Arianna (Ellen Page), studentessa di architettura incaricata di progettare i mondi onirici, è a conoscenza del dramma personale di Cobb e tenterà di aiutarlo a orientarsi all’interno del labirintico universo parallelo della sua psiche (è lampante il riferimento mitologico). Banalità qui intesa nel senso di ruolo non particolarmente innovativo: è l’ aiutante dell’ eroe, personaggio caratteristico, come insegna Propp, delle narrazioni fiabesche più classiche.
Come in The Prestige (2006) domina la confusione tra realtà e immaginazione, tra vita e trucco scenico, in questo caso, tra vita e sogno. Un regista prestigiatore quindi, che è in grado di coinvolgere totalmente lo spettatore, guidandolo tra mondi irreali, ma lasciandolo infine solo, innestando nella sua mente il dubbio di essersi perso. Nolan, volutamente, ci abbandona nell’ambiguo svolgimento finale, permettendo di creare opinioni soggettive e contrastanti. Ed è questa la forza di pellicole siffatte: la malleabilità, la varietà d’ interpretazione, la possibilità di discuterne dopo 148 minuti di proiezione che scorrono in un lampo, come se la sala cinematografica fosse realmente sprofondata nella dimensione temporale velocizzata del sogno.
Inception
regia di Christopher Nolan
USA/UK, 2010
148 min.