Egregio Mauro Moretti
, amministratore delegato delle Ferrovie dello Stato, con la presente le chiedo di dimettersi. Sarebbe un gesto, inusuale in Italia, di grande dignità. Glielo chiedo non tanto e non solo per le 15 ore di tempo che mi sono state necessarie per coprire in treno la distanza tra Rimini e Roma. Le questioni personali non sono tali da avere una dimensione pubblica. Ma in quelle 15 ore è successa una catena di episodi così gravi da minare alla radice il rapporto tra un’azienda pubblica e i cittadini-utenti. Non una questione mia, dunque, ma che riguarda decine di migliaia di italiani e turisti stranieri. Con ordine.
Avevo fatto un biglietto per il treno Intercity numero 622 di domenica 20 dicembre, partenza prevista dalla stazione di Rimini alle 18,23 e arrivo a Bologna centrale alle 19,28. Con largo margine, dunque per prendere il treno Alta Velocità Bologna-Roma numero 9533 delle ore 20,23. Arrivo alla stazione di Rimini e sul display il mio convoglio è segnalato con un ritardo di dieci minuti. Presto corretto in meglio: 5 minuti, quando ormai siamo vicini all’ora presunta di partenza. Scorre il bollettino di guerra dei ritardi e mi rallegro per essere stato molto fortunato. Ci sono treni con ritardi segnalati anche di 180 minuti. Con qualche incongruenza per la verità visto che dovevano transitare da Rimini alle 13 e ancora stanno sul monitor cinque ore dopo, ben oltre i 180 minuti, insomma. Avrei dovuto prenderlo come un segno premonitore. Potrei salire su un interregionale in arrivo da Ancona e in ritardo di 40 minuti, ma perché farlo?
Ho ancora fiducia in quella comunicazione delle Ferrovie dello Stato che adesso dice, di nuovo, 10 minuti di ritardo per il mio. Passano dieci, passano venti minuti e il display viene sempre riaggiornato al ribasso. Se c’è già un ritardo di 20 ne segna 15 e via dicendo. Il mio treno comunque arriva da Lecce con 40 minuti di ritardo. Poco male, sono stato previdente, ho ancora agio per la coincidenza. Chiedo agli altri passeggeri partiti da Lecce se il treno è stato fermo in prossimità della stazione di Rimini, unico motivo che poteva giustificare quella segnalazione di ritardo contenutissimo. No, mi rispondono, fin dall’origine l’Intercity è partito con 40 minuti di ritardo. Un gioco di bugie coi viaggiatori dovuto a chissà a quale strategia.
A Imola uno stop non previsto. Perché? Il capotreno, consultato, ci rassicura: «Staremo fermi 10-12 minuti (da Bologna si sono spinti fino al dettaglio dei 12 minuti) per un problema di scambi ghiacciati che sta bloccando il convoglio che ci precede». Fantastico, penso. Bologna, ci hanno insegnato alle scuole elementari, è “il più importante snodo ferroviario italiano”. Come non tenerlo in perfetta efficienza dati i guai del giorno precedente (sabato)? Troppo elementare. Il sabato 19 si doveva giocare, sempre a Bologna, la partita di calcio Bologna-Atalanta rinviata in un primo tempo a domenica 20 e poi slittata “a data da destinarsi” perché a Bologna domenica 20 erano previsti meno sei gradi. Lo sapeva la Federcalcio. E le Ferrovie dello Stato? Facciamo presente al capotreno diversi problemi. Ci sono persone, come me, che rischiano di perdere l’ultimo treno per Roma, altri l’ultimo per Torino.
Il capotreno controlla lo stato di viaggio delle nostre coincidenze. Il mio per Roma ha “12 minuti di ritardo”. O si riparte o sono spacciato. Sono già trascorsi 20 minuti. Il capotreno va a chiedere lumi al capostazione di Imola. Bussa a una porta dove non risponde nessuno. Un collega gli dice: «Ma non ti ricordi che Imola è una stazione?». E aggiunge un termine di linguaggio settoriale incomprensibile. Tradotto significa: Imola (Imola!) è una stazione dove dopo una certa ora non c’è più nessuno. Il capotreno sparisce, sparirà fino alla fine dell’odissea. Compare, accanto al binario un ferroviere a cui chiediamo lumi: «Che ne so?» Risponde. E a chi dovremmo chiedere? Risposta: «Basta, sono stanco di litigare coi clienti, lo faccio da stamattina». Non gli viene il dubbio che, se litiga con tutti, forse il problema non è di chi viaggia.
Dopo un’ora di sosta a Imola il treno riparte. Arriva a Bologna con due ore abbondanti di ritardo. Io mi sono messo in contatto telefonico con Gianluca Di Feo, caporedattore de “l’Espresso”, che pure sta viaggando da Milano a Roma su un gioiello delle sue Ferrovie, dottor Moretti, il Frecciarossa no-stop partito alle 18 e che dovrebbe toccare la capitale dopo 2 ore e 59 minuti. Gianluca mi risponde (e sono le 21,30): «Siamo fermi a Bologna, si è guastata la motrice. Dovremmo ripartire tra poco». Io arrivo davanti a quel treno assieme a tutti coloro che hanno perso l’ultimo treno per Roma (e ci sarebbe da capire chi ha deciso che, dopo le 20,23, non c’è più nulla su quella tratta, ma è un’altra storia). Gianluca sta chiedendo alla capotreno di farci salire, spiega la situazione. Lei irremovibile: «Non sono autorizzata ad aprire le porte a Bologna». Come in un acquario vedo Gianluca che allarga le braccia, poi mi manda un sms: «Ho fatto il possibile».
Grazie lo stesso. Forse lei, dottor Moretti, darà una medaglia a questa sua dipendente: ha rispettato la consegna. Frustrati, impotenti, vediamo partire il Frecciarossa (peraltro quasi vuoto) che ci avrebbe potuto condurre a destinazione. Di tutta l’Odissea questa rimarrà la macchia indelebile. La stazione di Bologna è un girone dantesco. Migliaia di persone in cerca di un treno purchessia. O di un letto negli alberghi dintorni. Almeno di un panino. Ma è già tutto chiuso. Nessuno ha pensato di prolungare l’apertura dei bar. Mi guardo attorno e il sentimento prevalente tra i miei compagni di sventura è la rassegnazione: ormai si è abituati al peggio. Personale delle Fs che possa aiutare: scarsissimo per quella bolgia umana. E il display, oltre a segnalare una Caporetto, è una palestra di disinformazione. Lo schema, ormai l’ho capito, è collaudato.
Treni segnalati con 70 minuti di ritardo, ad esempio, che ne hanno già 120 quando arriva l’aggiornamento: 90 minuti. La correttezza aiuterebbe a prendere decisioni. Dormire a Bologna? Salire su un treno? Ci saranno dei treni-fantasma magari con pesantissimi ritardi che non risultano da nessuna parte ma che in qualche modo arriveranno a Roma? Mi arriva un sms di Gianluca: «Si è rotta la seconda motrice sul mio treno. Ci riportano indietro e ci trasbordano su un altro a Bologna S. Ruffillo». Andare a San Ruffillo? E se non è vero che sarà lì il trasbordo? E se non mi fanno salire? Chiamo un altro collega che abita a Firenze e lo avverto che potrei avere bisogno di un letto per la notte. Penso che almeno scavallare l’Appennino mi convenga. Il mattino dopo si vedrà. Arriva, con un ritardo assai maggiore di quello segnalato, un Intercity partito da Bologna e che va a Terni passando per Firenze. Ci salgo. I passeggeri sono sfiniti saranno ormai le 22,30.
L’Intercity non si muove. Sul binario accanto vedo gente che corre per cercare di salire su un Frecciarossa. Dove andrà? Scendo dall’Intercity e vado a controllare, non sia mai? Al binario molti tedeschi che credono sia un treno che va verso il Brennero (sui monitor non c’è scritto nulla e si va per tentativi). Le porte sono chiuse. Un passeggero nel solito acquario dice “Roma”, il treno va a Roma. Forse è quello con destinazione finale Napoli e sul quale salirà Gianluca dopo il trasbordo. Non aprono le porte, già lo so. Torno sull’Intercity. Ancora fermo. Passa l’uomo dei panini, li ha finiti, solo biscotti Tuc-tuc. Il treno parte a velocità da tradotta, si ferma, riparte, si ferma, riparte. In un’ora avremo fatto un paio di chilometri avendo alla nostra destra e alla nostra sinistra convogli pieni di altri disperati. Naturalmente nessuno comunica nulla. Siamo in balia di un’entità sconosciuta e astratta. Disfatto, qualcuno si butta a dormire.
Nessun altoparlante comunica che “siamo in arrivo alla stazione di Prato”. E un passeggero si sveglia di soprassalto quando siamo ormai in vista di Firenze. E’ l’una di notte, il treno ha 205 minuti di ritardo. Ora, signor Moretti, col telefonino in tutto questo lasso di tempo ho consultato Internet e letto i prodigiosi proclami del suo ufficio stampa. “Solo” il 10 per cento dei treni soppressi. La polemica sul fatto che in altri Paesi d’Europa per i disagi nessuno ha gridato allo scandalo. Mi sono anche ricordato di alcune sue interviste dei giorni scorsi in cui parlava di disagi preventivabili. E che insomma, tutto va bene. Le assicuro che non ho avuto la forza di ridere. E’ opinabile che gli eventi atmosferici di questi giorni siano stati tali da giustificare tanto caos. Solo per gigantismo iperbolico si possono addurre come alibi. Forse non lo sa, ma può capitare la neve al Nord, il 20 dicembre. Può capitare il ghiaccio e meno sei gradi centigradi di temperatura (meno sei, non i meno 14 sparati dai suoi dipendenti come giustificazione). E non si vede come lei sia tanto bravo da costruire una rete di 1000 chilometri per treni che viaggiano a 300 all’ora e non riesca a riscaldare gli scambi del “nodo ferroviario più importante della Penisola”. Forse sarebbe il caso di ripartire da lì. Ma ammettendo pure (con grande fantasia e sforzo di volontà) che l’alibi regga: non sarebbe il caso, in circostanze così eccezionali, di venire incontro agli utenti (ai sudditi) aprendo le porte di treni fermi se sono l’ultima chances, dando informazioni corrette anzi, dando informazioni, visto che nessuno si è premurato di farlo? Dagli altoparlanti delle stazioni usciva, quasi solo, un ritornello autoassolutorio sulle “cause di forza maggiore” che potevano provocare, rallentamenti, soppressioni totali o parziali. Per tutti questi motivi, signor Moretti, le chiedo di dimettersi. Perché nessuna azienda tratta i suoi clienti con questo assoluto disprezzo.
P.S.: Stamattina ho preso, da Firenze, il primo Frecciarossa utile per Roma, alle ore 7. Ha avuto 30 minuti abbondanti di ritardo. Con le nuove regole, senza nessuna possibilità di avere un rimborso.
[fonte: l’Espresso]