Erwin Rommel, la “volpe del deserto”, il più conosciuto e temuto comandante dell’esercito del Reich. Uno dei tasselli fondamentali dell’intera macchina militare tedesca. È stato l’artefice delle vittorie – e delle sconfitte – del contingente tedesco in Africa (il famigerato Afrika Korps) durante la seconda guerra mondiale. È stato il modello dell’uomo nuovo voluto a qualsiasi costo da Hitler e dal nazismo. È stato uno dei protagonisti della stagione più tremenda e folle dalla storia tedesca.
Un vincente, un riferimento, un eroe e infine un traditore. Un militare abile e – nella sua orrenda professione – geniale. Un uomo colpevole di essersi schierato e di aver difeso il più orribile tra i regimi. Se la storia si scrivesse dando valore esclusivamente alle azioni ispirate dalla giustizia lui verrebbe ricordato solo per un tradimento tardivo. Cosa ha spinto un uomo nella sua posizione a tradire Adolf Hitler? Che parte ha avuto nell’organizzazione del attentato al Fuhrer? Perché Hitler, dopo averlo costretto al suicidio, lo celebrerà con imponenti funerali di stato?
Erwin voleva diventare ingegnere Rommel nacque a Heidenheim, nello stato del Württemberg. Suo padre, Erwin Rommel senior, era professore di matematica; sua madre, Helene von Luz, era figlia del presidente del governo del Württemberg. Più tardi, nel rievocare la sua infanzia, Rommel la descriverà come uno dei periodi più felici della sua vita. Sua sorella Helene dirà di lui che era un bambino dolce e docile e molto attaccato alla madre. Rommel voleva diventare ingegnere. Il suo precoce ingegno si manifestò quando, all’età di quattordici anni, facendosi aiutare da un amico, costruì un aliante di dimensioni naturali che riusciva a volare per brevi tratti.
Nel 1910, secondo i voleri del padre, decise di arruolarsi nel 124° reggimento di fanteria come ufficiale cadetto. Nel 1911, come cadetto a Danzica, Rommel conobbe la sua futura moglie, Lucie, che sposò nel 1916. Nel 1928, ebbero un figlio, Manfred Rommel. Gli studiosi Bierman e Smith sostengono che Rommel ebbe anche una relazione con Walburga Stemmer, nel 1912, e che dalla storia nacque una figlia di nome Gertrud.
La Grande Guerra Durante la prima guerra mondiale, Rommel prestò servizio in Francia, così come sul fronte rumeno e italiano, servendo nel corpo d’élite degli Alpen Korps: durante quel periodo venne ferito tre volte e premiato con la Croce di Ferro di prima e seconda classe. Fu anche il più giovane militare a ricevere la più alta onorificenza militare tedesca, la medaglia Pour le Mérite. La ricevette dopo aver combattuto nella battaglia di Longarone: con un audace colpo di mano fece 9000 prigionieri e un bottino impressionante.
Tra le due guerre Nel primo dopoguerra fu comandante di reggimento ed istruttore alla Scuola di Fanterie di Dresda e all’Accademia di Guerra di Potsdam. Il suo diario di guerra, Fanteria all’attacco, divenne uno dei principali libri di testo nella accademie militari tedesche. Nel 1938, Rommel – promosso al grado di colonnello – viene nominato comandante dell’Accademia di Guerra di Wiener Neustadt. Ci rimase poco perché venne rimosso e posto al comando del battaglione di protezione personale di Adolf Hitler. Ricevette la promozione aGenerale maggiore poco prima dell’invasione della Polonia.
L’Afrika Korps Nel 1940 gli venne affidato il comando della 7ª Panzerdivision per l’invasione a occidente. Rommel mostrò un’abilità considerevole in quell’operazione, e venne nominato comandante delle truppe tedesche, la 5ª Leggera (poi rinominata 21ª Panzerdivision) e successivamente la 15ª Panzerdivision, che vennero inviate in Libia all’inizio del 1941 per aiutare le truppe italiane, formando così i celebri Deutsches Afrika Korps. Fu proprio in Africa che Rommel conquistò definitivamente la sua grande fama di comandante. Spese la maggior parte del 1941 costruendo la sua organizzazione e riformando le unità italiane frantumate, che avevano subito una serie di sconfitte.
Un’offensiva spinse le forze britanniche fuori dalla Libia, ma si fermò poco oltre il confine egiziano, e l’importante porto di Tobruk rimase ancora nelle mani delle forze inglesi. Il comandante in capo britannico generale Claude Auchinleck lanciò una grande offensiva per alleviare l’assedio di Tobruk ma fallì miseramente dando modo a Rommel di riorganizzarsi e di colpire con decisione.
In un classico esempio di blitzkrieg, le forze britanniche vennero completamente sbaragliate. Nel giro di poche settimane esse furono respinte oltre il confine egiziano, sulla strada verso Alessandria. L’offensiva di Rommel si fermò nei pressi della piccola stazione ferroviaria di El Alamein, appena un centinaio di chilometri da Il Cairo.
La Prima battaglia di El Alamein venne persa da Rommel a causa delle difficoltà di approvvigionamento. I Britannici, con le spalle al muro, erano molto vicini ai loro punti di rifornimento, e disponevano di truppe fresche. Rommel cercò ancora di penetrare le linee nemiche durante la battaglia di Alam Halfa. Venne fermato definitivamente dal nuovo comandante britannico, il tenente generale Bernard Montgomery.
Con le forze britanniche che da Malta impedivano i rifornimenti via mare, e l’enorme distanza che aveva coperto nel deserto, Rommel non poteva tenere la posizione di El Alamein. Nonostante ciò, occorse un’altra grossa battaglia per costringere le sue truppe al ritiro. Dopo la sconfitta di El Alamein – nonostante le pressioni di Hitler e Mussolini – le truppe di Rommel ripiegarono in Tunisia. LSi scontrarono con il secondo corpo d’armata Statunitense: Rommel affrontò le truppe americane nella battaglia del passo di Kasserine, che ebbe un esito ancora oggi incerto.
Isolato, mal rifornito e criticato dalla nomenclatura nazista di Berlino, Rommel poté solo ritardare l’inevitabile: lasciò l’Africa dopo essersi ammalato, e gli uomini del suo comando divennero prigionieri di guerra.
Alcuni sostengono che il ritiro dell’armata di Rommel fino in Tunisia contro il volere di Hitler fu una vittoria più grande della cattura di Tobruk. Rommel si limità a commentare «è tutta colpa della politica». Tornato in Germania, Rommel rimase per qualche tempo di fatto inattivo.
Rommel e gli italiani: un rapporto complicato Finita la seconda guerra mondiale, vari autori provenienti dai paesi alleati attribuirono a Rommel frasi molto dure contro gli italiani e verso il loro coraggio in battaglia. In realtà il generale tedesco, come scrive nel suo celebre diario, criticava gli ufficiali italiani, che lo rimproveravano per le tecniche poco ortodosse da lui utilizzate in Africa. A lui è attribuita questa osservazione: «Sono straordinari, coraggiosi, disciplinati (gli Italiani), ma mal comandati ed equippaggiati». ma la stima che Rommel nutriva nei confronti dei nostri soldati è riassumibile in un’altra sua celebre frase: «Il soldato tedesco ha stupito il mondo, il bersagliere italiano ha stupito il soldato tedesco».
La caduta degli dei Quando le sorti della guerra si rivolsero a sfavore della Germania, Hitler pose Rommel al comando del gruppo d’armata B, responsabile della difesa della costa francese contro una possibile invasione alleata. Rommel concluse che ogni movimento offensivo sarebbe stato impossibile a causa della supremazia aerea alleata. Riteneva che le forze dei panzer dovessero essere tenute il più vicino possibile al fronte, di modo che non dovessero partire da lontano al momento dell’invasione. Il suo piano prevedeva di fermare gli alleati sulle spiagge su cui sarebbero sbarcati.
Il feldmaresciallo Gerd von Rundstedt, invece riteneva che non ci fosse modo di fermare l’invasione a causa della soverchiante potenza di fuoco della Royal Navy. Riteneva che i panzer dovessero essere disposti al sicuro, in grosse unità nel retroterra vicino a Parigi. Sosteneva che sarebbe stato più saggio permettere agli alleati di sbarcare in Francia per poi combatterli nell’entroterra.
Hitler, dovendo scegliere tra i due piani, non né scelse nessuno e posizionò i panzer a metà strada, abbastanza lontani da essere inutili a Rommel, e non abbastanza lontani da poter solo osservare la battaglia come voleva von Rundstedt.
Il piano di Rommel riuscì a dare comunque i suoi frutti. Durante il D-Day molte unità di panzer erano abbastanza vicine alle spiagge e crearono gravi danni. L’impressionante numero di truppe alleate rese comunque improbabile qualsiasi speranza di successo, e ben presto le teste di ponte sulle spiagge furono assicurate.
Rommel contro Hitler Il 18 luglio 1944 la sua autovettura venne mitragliata da un aeroplano con le insegne della Raf, e Rommel dovette essere ricoverato: riportò una frattura al cranio, due alla tempia, una allo zigamo, una lesione all’occhio sinistro. Negli archivi della Royal Air Force non esiste però alcun rapporto che riferisca di un mitragliamento ad un’automobile isolata nei dintorni di Livorata in data del 17 luglio. Alcuni storici affermano che quell’attacco venne effettuato dalla Luftwaffe sotto ordine diretto di Hitler in risposta a presunte trattative di pace intrattenute da Rommel con Montgomery ed Eisenhower.
Nel frattempo, dopo il fallito attentato del 20 luglio contro Adolf Hitler, emersero i collegamenti tra Rommel e i cospiratori. Bormann era sicuro del coinvolgimento di Rommel, Goebbels non lo era affatto.
Che Rommel fosse a conoscenza del complotto sembra abbastanza chiaro, non si sa però quanto fosse coinvolto. I mitivi che lo spinsero a prendere parte, in qualsiasi misura, all’organizzazione dell’attentato restano avvolti dal mistero. Si possono solo fare ipotesi. Forse le notizie di contatti avvenuti tra Rommel e gli Alleati per trattare la pace non erano completamente false. Forse l’unico modo per garantire la coesistenza pacifica della Germania nazista e delle potenze Alleate era eliminare il simbolo stesso della guerra: Adolf Hitler.
In considerazione della sua popolarità, Hitler gli diede la possibilità di suicidarsi con il cianuro salvaguardando la propria famiglia o di affrontare la corte marziale per alto tradimento e la condanna a morte senza nessuna garanzia per il futuro dei suoi cari. Rommel diede termine alla sua vita il 14 ottobre 1944, e venne seppellito con pieni onori militari dopo un grandioso funerale di stato. Hitler celebrò l’uomo che aveva accusato di alto tradimento.
In seguito il Fuhrer diede ordine di fare un monumento al suo generale, iniziarono i preparativi, ma ormai la situazione in Germania era talmente grave che non se ne fece più nulla.
I diari I suoi diari sono lo strumento più utile per permetterci di avvicinarci all’uomo che stava dietro il mito del generale invincibile. Rommel non apparteneva all’aristocrazia militare prussiana, era un ufficiale che proveniva dalla gavetta e in condizioni normali avrebbe potuto aspirare al massimo al grado di colonnello. Ma la partecipazione alle due guerre mondiali, unita alla militanza nei Freikorps (da cui sarebbe scaturito il partito Nazista) lo lanciarono in una carriera che lo portò a poco più di cinquant’anni ad ottenere il grado di feldmaresciallo.
La sua estrazione popolare piaceva molto a Goebbels, verso il quale Rommel fu sempre molto disponibile, che ne volle sfruttare l’immagine vincente per la sua propaganda. I suoi colleghi generali, provenienti dalle accademie prussiane, non nascondevano l’antipatia, se non il disprezzo, che nutrivano nei suoi confronti.
D’altra parte Rommel non fece mai molto per rendersi simpatico agli occhi degli altri ufficiali superiori. Testardo nelle sue convinzioni, spesso sgarbato, a volte ben oltre i limiti dell’insulto, nei confronti degli altri generali, soprattutto italiani, ma anche della stessa wehrmacht, era invece adorato dai suoi uomini.
Motivo dell’ammirazione che suscitava tra la truppa era sicuramente il fatto che Rommel, contrariamente agli altri generali, non si limitava a seguire i combattimenti da distanza di sicurezza, ma era sempre presente in prima linea.
Le sue decisioni in battaglia, spesso improvvise e talvolta ai limiti dell’insubordinazione (avanzare quando gli veniva ordinato di fermarsi), oltre a far infuriare i superiori, resero spesso inutile il lavoro svolto da Ultra (il complesso apparato utilizzato dagli inglesi per decodificare i messaggi che i tedeschi si trasmettevano con Enigma) per scoprire i piani dei tedeschi.
Vale la pena di citare alcuni episodi della campagna d’Africa che possono aiutare a comprendere il carattere di Rommel. Quando la strada verso Il Cairo e il Canale di Suez sembrava ormai spianata, Mussolini volò in Libia per godersi un trionfo che non arrivò; durante la sua permanenza chiese più volte di incontrare Rommel, ma questi si rifiutò sempre, adducendo come scusa il fatto che fosse troppo impegnato in prima linea. Rommel trovò però il tempo per recarsi in visita al capezzale di un maggiore italiano, che si era distinto nella difesa del passo di Halfaya, conquistandosi la sua stima.
Dopo la battaglia di El Alamein il generale Barbasetti incontrò Rommel alla ridotta Capuzzo
«È stato molto doloroso – osservà il generale italiano – il sacrificio del X corpo d’Armata abbandonato nel deserto».
Rommel replicà stizzito: «È questo forse un rimprovero? Dal Fuhrer non è giunta alcuna parola di disapprovazione».
«Ho risalito l’interminabile colonna dei reparti in ritirata – spiegò Barbasetti -, i camionisti tedeschi si rifiutavano di far salire gli italiani».
A queste parole Rommell tacque.
Dopo la presa di Tobruk, un generale sudafricano bianco, parlando anche a nome dei suoi ufficiali, chiese a Rommel di essere detenuto in un’area separata da quella delle truppe di colore. La risposta di Rommel fu secca: «Per me i soldati sono tutti uguali. I neri vestono la vostra stessa divisa, hanno combattuto al vostro fianco, e quindi starete rinchiusi nello stesso recinto». (Wikipedia)