Atelier Medea propone un breve racconto di fantascienza di Andrea Cattaneo che affronta la tematica della fine del mondo immaginandola causata dagli esseri umani. Dell’umanità restano solo un piccolo gruppo di bambini rinchiusi in un bunker sotto la neve
Rinchiusi in un bunker sepolto sotto la neve, un gruppo di bambini è tutto quello che resta dell’Umanità. Le regole di convivenza sono semplici e brutali, la violenza è tollerata ed è anzi funzionale a mantenere un equilibrio e una gerarchia in questa piccola società in cui chi diventa grande sparisce nel nulla rimpiazzato da altri bambini. Tutti sono sacrificabili nella speranza che arrivi presto il giorno in cui la madre e il padre torneranno per riportarli a casa. Ma chi sono questi “adulti” che nessuno ha mai visto? Perché li costringono a vivere rinchiusi e isolati dal mondo? Cosa c’è fuori dalle porte del bunker? Lorde, al compimento del suo undicesimo compleanno, scopre per errore la verità.
Un estratto
Lorde finì a terra e sbatté la testa contro il pavimento di cemento. Un calcio in testa, uno sui fianchi, Lorde tentò di divincolarsi dalla presa di Kline ma l’avversario era troppo pesante, era seduto sul suo petto e lo schiacciava a terra. I vurdalak tutt’attorno incitavano Kline, volevano il sangue.
– Dillo! – Ordinò Kline.
– No! – Strillò Lorde.
– Ti ammazzo, – annunciò Kline colpendolo con una gragnola di pugni in piena faccia. Lorde sentiva i colpi rimbombargli nel cranio e il sapore del sangue in bocca ma avrebbe resistito a costo di morire. Un destro ben assestato gli fece saltar via un incisivo.
La scazzottata durava da troppo tempo e sembrava destinata a durare parecchio. I vurdalak cominciavano a essere stufi e, alla spicciolata, tornarono ai loro giochi lasciando i due bambini da soli. Kline, persa l’attenzione di tutti, diede un ultimo pugno a Lorde e se ne andò senza dire una parola.
Lorde, una volta solo, si mise a sedere singhiozzando. Sentiva male ovunque, ne aveva prese talmente tante da aver dimenticato perché avessero litigato. Per fortuna, il giorno dell’Elisione di quello stronzo era vicino.
Asciugò le lacrime e il sangue e, per calmarsi, guardò il soffitto alto e il lucernario lontano. Come sempre fuori infuriava la tempesta di neve e il cielo era un enorme lenzuolo bianco. L’Ipogeo era una tomba di cemento armato ma i bambini la chiamavano casa.
– Vuoi stare lì tutto il giorno? – Gli domandò Estia porgendogli la mano e aiutandolo ad alzarsi. – Devi essere tutto scemo… Ormai hai undici anni, quando la smetterai di attaccare briga? – gli diede un fazzoletto che lui usò per tamponare l’emorragia in bocca.
– Andiamo, è ora, – gli disse lei aiutandolo a rialzarsi e mettendogli un braccio attorno al collo, era più alta di lui di almeno cinque centimetri e Lorde era uno dei più alti tra i bambini della sua età.
– Vecchia, – disse lui.
Estia rise e finse di stritolarlo.
Dicono di “11”
Non si può scrivere una recensione più lunga del racconto. Ma la tentazione ci sarebbe. È una visuale rapida inquietante e mozzafiato (come un diretto al plesso solare) su un futuro che speriamo sia limitato a racconti del genere. Speriamo.recensione verificata su Amazon