Il Paese oggi è diviso come non lo è stato da molti anni, e questo malgrado i gravi danni della crisi del 2008 (che, ricordiamolo, non è ancora finita; un dato tra tutti: la riduzione del 25% della produzione industriale in otto anni) e i rischi seri di fallimento a cui siamo andati incontro (dobbiamo ricordare il 2011, anno in cui abbiamo dovuto ricorrere a un governo tecnico dopo che lo spread aveva raggiunto il 6,8%). Questo per dire che i rischi non sono finiti e c’è poco da giocare con il destino della propria nazione. Togliamo dunque per una volta gli abiti di Arlecchino e Pulcinella e riflettiamo come persone serie e mature a cosa sia meglio per il Paese: ognuno farà la propria scelta ma in maniera razionale e misurata, come richiederebbero le circostanze. Non è tempo di scontri fratricidi ma di un confronto sereno sugli argomenti che possono far migliorare il funzionamento del Paese. Discutiamo quindi nel merito del referendum istituzionale del 4 dicembre, evitiamo di esprime un Sì o un No al governo, vediamo come e perché una modifica istituzionale può servire o meno al Paese. In questo articolo esporrò le ragioni del Sì al referendum.
Perché questa è una riforma necessaria
Ecco le ragioni per cui consigliamo di votare Sì al referendum. Le riassumeremo brevemente per non ripetere le informazioni che si possono trovare dovunque sul web, basta cercarle. Guardiamo al merito della riforma per scoprire che, con un Sì al referendum avremmo:
– meno parlamentari,
– riduzione dei costi del funzionamento della camera e del senato,
– fine del bicameralismo perfetto con la costruzione del “Senato delle autonomie locali” (è vero, anch’io avrei preferito l’abolizione secca del Senato, ma questo è un inizio e, come vedremo dopo, ricalca altre esperienze europee),
– processo legislativo più rapido (“via preferenziale” per approvare le leggi considerate importanti),
– riduzione dell’autonomia delle Regioni a favore dello Stato centrale in alcune materie strategiche (per una politica nazionale coerente che eviti i conflitti decisionali e le derive particolaristiche a cui oggi spesso assistiamo),
– abolizione definitiva delle provincie,
– abolizione del CNEL,
– elezione più condivisa del Presidente della Repubblica,
– introduzione dei referendum propositivi (proposte di legge dei cittadini) con una base di firma più ampia, per utilizzare lo strumento del referendum in maniera più razionale e meno “sprecona”,
– parità di genere (quote rosa) sancita costituzionalmente.
Era tempo… (ovvero un po’ di storia)
Sono vent’anni che si tenta di fare riforme. Dopo la caduta dei partiti della Prima Repubblica, si sono succeduti diversi tentativi di riformare lo Stato:
– Nel 1993 la Legge Mattarella, il cosiddetto Mattarellum, introduceva una preponderante componente maggioritaria, sia pure mitigata con il sistema proporzionale per il 25% dei seggi. Questa legge aveva garantito una stabilità sconosciuta alla Repubblica italiana, fino a quando nel 2005 il governo Berlusconi ha votato la Legge Calderoli, il cosiddetto Porcellum, a cui si deve il ritorno al sistema proporzionale. Dopo vent’anni la legge è quindi tornata simile a quella della Prima Repubblica. Con questa legge sono stati eletti gli ultimi parlamenti (2006, 2008 e 2013).
– Nel 1997 e per diversi anni, sotto la XIII legislatura, fu istituita una Commissione parlamentare per le riforme costituzionali, chiamata “Bicamerale”. Fu presieduta da Massimo D’alema in accordo con Silvio Berlusconi, durò molto anni senza portare ad alcun risultato.
– Un progetto di revisione costituzionale, formulato dal Governo Berlusconi, è stato oggetto di un referendum costituzionale svoltosi il 25 e 26 giugno 2006. Al Referendum vinse il No.
– Durante il governo tecnico di Mario Monti, nel 2011-2012, il presidente del Consiglio si occupò solo degli aspetti economici, affidando ai partiti, in accordo con il presidente Napolitano, il compito di prevedere una nuova legge elettorale che sostituisse il Porcellum. Il PD e il PDL, allora guidati da Bersani e Berlusconi, non arrivarono a nulla.
– Nell’attuale legislatura, scaturita dalle elezioni del 2013 che divisero il parlamento in tre parti quasi uguali (centrosinistra, centrodestra e M5S), si sono succeduti la commissione Quagliariello ed il mancato Comitato parlamentare per le riforme costituzionali del 2013 con l’obbiettivo di riformare Stato e la Legge Elettorale. Di fronte al fallimento di questi due tentativi, e dopo la rielezione di Napolitano che aveva strigliato i partiti perché facessero le riforme, col nuovo governo Renzi si è fatta la scelta diversa di un disegno di legge costituzionale, di iniziativa governativa, di revisione diretta della Costituzione, mediante l’ordinario meccanismo previsto dall’articolo 138 della Costituzione. Una scelta di forza, condivisibile o meno, approvata dal parlamento nel 2015, fatta con l’obbiettivo di riformare lo Stato dopo due decenni di immobilismo, e dopo il rifiuto di una grossa fetta del parlamento di partecipare a una riforma condivisa.
Io, iscritto all’ANPI
Chi scrive questo articolo è iscritto nelle liste dell’ANPI fin da ragazzo. Nipote di nonni partigiani, democristiani da una parte e comunisti dall’altra, è cresciuto nei valori della Repubblica sorta dalle ceneri del fascismo, fiero di difendere coi denti la libertà repubblicana nata dal referendum del 1946 e dalla costituzione de 1948. Ma chi scrive ama pensare con la propria testa e, malgrado l’appartenenza all’ANPI, non sposa la difesa ad oltranza degli articoli di una Costituzione scritta in un’epoca precisa, figlia di condizioni storiche determinate e di rapporti di forza ormai privi di significato. Non si discute l’anima di fondo della Costituzione, il suo senso di libertà e uguaglianza, ma i tecnicismi nati dalla paura del ritorno del Fascismo e dalle ansie della Guerra Fredda non hanno più ragione di essere. Cambiamo punto di vista: di cosa abbiamo bisogno noi oggi in un mondo globale veloce in cui dobbiamo confrontarci con nuove potenze, più o meno democratiche? Abbiamo bisogno di un processo decisionale veloce e snello, che sappia difendere gli interessi della nostra nazione in Europa e nel mondo. Ecco perché la costituzione va riformata, ecco perché dire Sì al referendum.
Negli altri Paesi
Non sono d’accordo con chi dice: “la nostra è la costituzione più bella del mondo”. Questa frase, oltre ad essere presuntuosa, non ha senso. Charles De Gaulle ha cambiato la costituzione francese nel 1958. La Francia in quell’anno entrava nella Quinta Repubblica, l’attuale, con l’approvazione della settima costituzione della sua Storia. Alla domanda su qual era la miglior costituzione da approvare, De Gaulle chiedeva di precisare per quale periodo e per quale popolo. La costituzione non è eterna, si adatta ai costumi, alle genti, al sentire, ai diritti che mutano nei decenni. Intestardirsi in leggi scolpite sulla pietra ricorda atteggiamenti più religiosi che razionali.
Il caso francese calza a pennello per dimostrare che un popolo può cambiare costituzione e forma repubblicana senza perdere il suo innato amore per la democrazia e la libertà. La Quinta Repubblica francese inaugurata da De Gaulle, sulla carta, è meno controbilanciata dell’attuale ordinamento della Repubblica Italiana, trattandosi di un Presidenzialismo molto spinto. E il Senato francese di oggi assomiglia molto al Senato italiano che scaturirebbe dalla vittoria del Sì al referendum: una camera eletta a suffragio indiretto, costituita da amministratori locali, il cui ruolo è radicalmente limitato, escluso addirittura dal voto di fiducia all’esecutivo.
Se facessimo il caso dell’Inghilterra, resteremmo ancora più sorpresi, vedendo che una delle più antichi democrazie moderne del mondo non ha neppure una costituzione!
Ingerenze europee e finanziarie
Si discute molto dell’influenza delle istituzione europee e delle banche sul Sì al referendum. Intanto questa posizione critica può essere facilmente ribaltata. Quanto abbiamo partecipato anche noi italiani all’opinione pubblica sfavorevole al Brexit e all’elezione di Donal Trump? In fondo la Moral Suasion mondiale non è già una realtà in questo mondo globalizzato?
E se anche teniamo ad essere dalla parte delle vittime, quanto una vittima è responsabile della sua situazione? Se l’Italia fosse un Paese stabile e prosperoso, incorruttibile ed inattaccabile, leader nelle scelte economiche e geopolitiche globali, quanto si farebbe influenzare dagli altri? Non è che forse siamo troppo impegnati a vedere l’ingerenza altrui, quando non sappiamo valutare la nostra incapacità a difenderci e a saper far valere le nostre posizioni? L’Italia, come popolo e come nazione, deve fare un serio esame di coscienza e guardare innanzitutto alle proprie azioni quotidiane, al proprio modo di agire, alla disciplina, al metodo, al proprio senso di responsabilità, ai propri ideali, alla sua ambizione. In fondo una nazione, come ogni individuo, per essere rispettato, deve innanzitutto farsi rispettare. E per farsi rispettare bisogna avere una progettualità, delle idee da proporre e da difendere. Cosa propone l’Italia? Cosa vuole da sé e dagli altri? È in grado di farsi rispettare?
Riformatori e Gattopardi
Chi scrive ritiene che questo referendum è un’occasione da non buttare via, anche perché non si ripresenterà più per molti anni. Per le ragioni dette sopra, l’Italia merita un salto in avanti. Siamo tutti d’accordo, questa riforma non è perfetta, è frutto di compromessi, è frutto di scontri intestini persino al partito che l’ha promossa (e questo non fa onore al Paese). Ma è un inizio, una legge che può evolvere ulteriormente. In ogni caso sarà un segnale per mostrare al mondo che il Paese guarda avanti, che non ha paura di mettersi in gioco e di riformarsi, che non vuole fallire ancora volta, che non vuole sprecare anni di confronto democratico in parlamento. Questo è il momento di pensare al futuro, non di continuare a rimanere ingessati dentro a strutture ormai appartenenti a un mondo che non esiste più. Bisogna avere rispetto per il passato, per la Storia, per i padri costituenti. Se noi siamo nani e loro giganti, come è già successo in passato, possiamo salire sulle loro spalle e guardare ancora più lontano. Non bisogna essere degli eterni nostalgici. Dobbiamo uscire da quel blocco piscologico, tutto italiano, che spinge a fare gli eterni Gattopardi, a voler sempre “cambiare tutto per non cambiare niente”. Bisogna essere coscienti che questa volta si deve cambiare, non proprio tutto ma almeno qualcosa per davvero, per dire Sì al futuro.