Ancora manifestazioni al Cairo nella piazza della Liberazione, già teatro degli scontri che portarono alla fuga di Mubarak
IL CAIRO, 28/29 Giugno 2011 – Mentre in Italia i giornali parlano di Meredith Kercher e del corrotto di turno di cui abbiamo già dimenticato il nome, brulica piazza Tahrir, come tutte le sere. La gente la attraversa in ogni direzione, risalendo i nervi della grande città fino a sbucarne nel ventre naturale.
Mercanti ad ogni incrocio vendono bandiere ed effigi di Gheddafi insanguinate. Nella grande rotatoria un gruppo di persone inneggia al 25 gennaio, il giorno della grande Liberazione, nella piazza della grande Liberazione. Qualcuno di loro comincia a buttarsi nella strada, bloccando le prime corsie a ridosso dell’aiuola centrale. Nulla fa pensare comunque a qualcosa di grave.
Ma in realtà, il corteo di manifestanti è l’onda lunga del sit-in avvenuto già nel pomeriggio davanti alla televisione di Stato, dove era stato organizzato una manifestazione da parte dei familiari e degli amici delle vittime degli scontri di febbraio. A loro, si uniscono i cori di coloro che chiedono alle autorità dell’Egitto di accelerare l’avvio dei processi contro gli esponenti politici e delle istituzioni che si erano dimessi o avevano abbandonato il paese in seguito alla rivolta dello scorso inverno.
Passano poche ore, e la rivolta prende corpo. La nuova rete dei ragazzi egiziani permette aggiornamenti in tempo reale: in pochi minuti, tutti si assembrano intorno alla grande piazza. Tutti, poliziotti inclusi. Ai lanci di pietre di una fazione rispondono manganelli e teaser. Il traffico si congestiona ulteriormente: le arterie che portano a Zamalek, nell’isola in mezzo al Nilo, sono virtualmente fuori uso.
La notte fagocita tutto, manifestanti e manifestati, anche nei casi di manifesta inferiorità degli uni, superiorità degli altri.
E la Grande Soggiogatrice dei Fatimidi si sveglia al mattino chiazzata di sangue vicino al cuore, mentre i colpi di fucile lasciano spazio ai soliti colpi di clacson isterici, nella cartografia dei suoni di un Paese che procrastina le sue elezioni, mentre avverte sempre più urgente l’esigenza di voltar pagina.