All’elezione di Obama presidente degli Stati Uniti sono seguite, un po’ su tutti i quotidiani del pianeta, storiche prime pagine dai titoli enfatici. Qualcuno ha descritto l’evento come una svolta epocale nella storia americana e non solo. Ma come mai tanto clamore? Perché improvvisamente i non americani si sono ritrovati ad invidiare i cittadini statunitensi? La risposta sta nello slogan scelto da Obama per la sua campagna: «Cambiare? Sì, noi possiamo». Obama ha avuto l’intelligenza di comprendere questa necessità non solo americana, ma mondiale, e l’ha fatta diventare uno dei suoi cavalli di battaglia. È vero: eredita un paese rovinato e odiato, una parodia della superpotenza che si credeva. Il suo lavoro non sarà semplice, soprattutto perché dovrà affrontare crisi senza precedenti che richiedono più fantasia, che esperienza per essere risolte. L’America ha bisogno di risposte nuove, strategie nuove, una nuova etica (soprattutto in campo economico, ma non solo), un nuovo approccio alla politica estera e nessuno era più adatto di Obama per tentare questa sfida. Colpisce il coraggio di questa nazione piena di contraddizioni e tensioni che è stata capace di voltare pagina, o perlomeno sembra avere tutte le intenzioni di farlo. L’esatto contrario di quanto è successo in Italia. Forse è proprio nella semplicità che sta la forza della democrazia americana che, agli occhi di noi europei, sembra impermeabile ai tortuosi giochi di potere della politica del vecchio continente. Forse è proprio qui la lezione che dovremmo imparare: meno cinismo, meno egoismo, meno razzismo e più voglia di cambiamento, di miglioramento come paese e come società. Il tempo ci dirà se abbiamo fatto bene ad esultare per la vittoria di Obama o se, come scrive il consumato cinico Vittorio Feltri su Libero, siamo accorsi ancora una volta in soccorso del vincitore. Mai come oggi appare chiaro che il destino del pianeta è indissolubilmente legato a quello degli Stati Uniti d’America e senza di loro non è possibile fare. Prendano appunti i burocrati senz’anima dell’Unione Europea. Oggi sappiamo cosa vogliono gli americani e cosa vuole il mondo: cambiare.
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