Nell’America suburbana degli anni settanta una famiglia, la famiglia Lisbon – padre madre e cinque figlie –, è annientata da una serie di suicidi. Le figlie dei Lisbon, una a una, si tolgono la vita apparentemente senza alcuna ragione. Gli elementi di questo romanzo – malsano e bellissimo fino a diventare disturbante –, sono semplici, quasi banali, almeno quanto le esistenze dei ragazzi che raccontano questa storia (il narratore collettivo). Non c’è morale in questo romanzo di Jeffrey Eugenides, solo il racconto malinconico di speranze infrante. Gli attori di questa tragedia dal sapore antico si muovono su percorsi diametralmente opposti: le sorelle Lisbon, magnificamente tratteggiate da Eugenides, sono ragazze che rifiutano fino alla morte di crescere e di vedere il proprio futuro, i ragazzi del quartiere smaniano di scoprire e provare la vita e di trovare un loro posto nel mondo. Le prime, suicidandosi, diverranno un ricordo traumatico indelebile per un intero quartiere, gli altri semplicemente si sistemeranno come meglio riescono. Da una parte il suicidio, dall’altra la voglia di vivere; il tutto incarnato nei corpi ancora indefiniti di un gruppo di adolescenti.
In una parola sola: impressionante
J. Eugenides, Le vergini suicide, Mondadori, Milano 1994