Mai rimanere troppo distaccati dagli eventi da raccontare, mai farsi coinvolgere troppo: in entrambi i casi diventa impossibile per un buon giornalista fare bene il proprio mestiere. Questa, in estrema sintesi, è la regola della giusta distanza. Giovanni, un ragazzo nato e cresciuto in un paesino della provincia veneta, alla foce del Po, la imparerà presto e bene per realizzare il suo sogno e diventare un vero cronista. Da anonimo racconterà gli imprevedibili “misteri” di un territorio – la provincia italiana – all’apparenza tranquillo e monotono, ma che in realtà cela e favorisce contrasti e tensioni di ogni genere. La storia di quel paese è la storia di tanti paesi della provincia italiana; ricalcata sulla cronaca recente del nostro paese, è fatta di cani massacrati senza motivo apparente, fabbriche clandestine controllate dai cinesi, immigrati mai veramente accettati e integrati, maestre che di colpo impazziscono quasi a simboleggiare un’ondata di follia che investe silenziosa tutto il territorio. L’arrivo di una supplente, Mara – una giovane e bella ragazza –, contribuirà a complicare ulteriormente le cose. Tra tanti corteggiatori italiani, lei sceglierà un tunisino, Hassan, il mite proprietario di un’officina. Giovanni, amico di entrambi, seguirà l’evolversi della relazione dall’esterno, troppo preso ad inseguire la sua nascente carriera di giornalista. La storia di Mara e Hassan, destinata a concludersi a breve a causa della partenza imminente di Mara per un progetto di cooperazione in Brasile, per molti motivi, sarà inevitabilmente bella e tragica e sfocerà in una tragedia. Troppo ingenua lei – si darà in paese -, troppo fiduciosa verso il prossimo che spesso attende solo il momento giusto per aggredire a tradimento, tanto più – ritengono in molti – se si tratta di un tunisino. La ragazza verrà ritrovata morta, con segni di percosse e tagli su tutto il corpo. La giustizia italiana, impaziente di trovare a tutti i costi un colpevole nel minor tempo possibile, con troppa superficialità sceglierà Hassan come capro espiatorio. L’uomo, condannato a quindici anni di reclusione, deciderà di togliersi la vita. A questo punto, di fronte al cadavere di Hassan, Giovanni varcherà la giusta distanza che aveva messo tra lui e la storia di questi due sfortunati amanti e comincerà, spinto dal desiderio di riabilitare Hassan, a indagare sull’omicidio.
La Giusta Distanza, diretto nel 2007 da Carlo Mazzacurati, è un film ambizioso, forse troppo. Tanto da dare allo spettatore, a fine proiezione, un vago senso di incompiutezza. Il suo punto di forza è indubbiamente la caratterizzazione perfetta dei personaggi.
La sceneggiatura è ben scritta ma, per forza di cose, risulta a tratti dispersiva a causa della grande mole di argomenti da trattare. La regia – tranne la sequenza iniziale con una ripresa aerea di un pullman che attraversa la campagna veneta (che, come tutte le sequenza di questo tipo, rimanda direttamente allo Shining di Kubrick) -, è funzionale alla trama e non si perde in inutili virtuosismi. La colonna sonora è forse il vero punto debole del film: impersonale e priva di carattere, risulta perlopiù assente.
Soppesando pro e contro, in definitiva si tratta di un film coinvolgente e ben realizzato che manca però di quella virtù misteriosa che rende una buona pellicola un capolavoro del cinema.
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