L’ultimo dei “trovatori”, il cantore dei poveri, della gente che conduce una vita normale, in un mondo maledettamente normale, il mondo della grande provincia italiana, l’ho trovato a Genova in un appartamento dalle ampie vetrate, in faccia al mare, sul corso Italia. Si chiama Fabrizio De André, ha 28 anni, è sposato ed ha un figlio di nome Cristiano, di sei anni.
Fabrizio De André è l’autore di canzoni come Marinella, Carlo Martello torna dalla battaglia di Poitier, II testamento e La ballata del Miché. Tutte canzoni censurate dalla commissione d’ascolto della Televisione italiana, che le ha giudicate troppo “spinte” per il gusto degli italiani. Immorali, insomma. Tutte canzoni che raccontano storie tristi, antiche, con un gusto quasi da fiaba. I protagonisti, infatti, si salvano sempre e alla fine volano in Paradiso, perché prima di morire, sono riusciti a guardare in alto, alle stelle, ed a chiedere perdono.
Sono andato a trovarlo, per un motivo molto semplice; da qualche tempo ogni domenica, verso mezzogiorno, la Radio Vaticana trasmette queste stesse canzoni censurate dalla RAI-TV, nel corso di un programma curato da Paolo Scappucci della “Pro Civitate Christiana” di Assisi e dedicato ai giovani ed ai loro problemi in rapporto alla vita di oggi.
È afflitto da una terribile timidezza
Raggiungere Fabrizio De André è difficile. Afflitto da una timidezza terribile, preferisce stare nel suo guscio, senza farsi avvicinare da altri che non siano i suoi intimi amici. Un’intervista, un servizio fotografico, sono per lui un supplizio, del quale farebbe volentieri a meno.
Fabrizio mi riceve nel suo appartamento in Corso Italia. Ci accomodiamo in salotto.
«Ho saputo della trasmissione della Radio Vaticana», gli dico subito. «È vero che le stesse canzoni erano state censurate dalla Rai?»
«Eccome!» risponde il cantante. «Di tutte le mie canzoni la RAI ha passato solo Marinella. Le altre, le hanno scartate tutte».
«Come è stato possibile, dunque, che la Radio Vaticana le trasmettesse?»
«È una storia» racconta Fabrizio De André «che sembra quasi inverosimile. Un giorno mi venne recapitata una lettera della “Pro Civitate Christiana”. Quando la lessi, quasi non credevo ai miei occhi. Paolo Scappucci, infatti, mi avvertiva che aveva avuto modo di ascoltare alcuni miei dischi e che gli erano piaciuti tanto che li avrebbe messi in onda in una trasmissione domenicale della Radio Vaticana. Più tardi ricevetti un’altra lettera nella quale mi specificava quali canzoni erano state trasmesse e come erano state presentate. Le canzoni in questione erano: Si chiamava Gesù, Preghiera in gennaio e Spiritual. Tutti pezzi regolarmente censurati dalla radio-televisione. Non ti dico quanto mi fece piacere questo fatto!»
Ha anche successo nell’America Latina
Fabrizio De Andre, visibilmente eccitato, si alza e, dopo avermi detto di aspettare un minuto, si allontana, tornando poco dopo con una lettera. L’apre e me la porge. È una delle lettere inviategli dalla “Pro Civitate Christiana”. Ne leggo alcuni brani. “Ti dirò” dice la lettera “che molto spesso, quando ho occasione di parlare ai giovani in riunioni o conferenze o dibattiti, porto sempre i tuoi dischi, specialmente Si chiamava Gesù, Preghiera in gennaio e Spiritual (ma anche le altre, perché mi piacciono tutte: stupenda quella sulla morte! ) oppure cerco di cantare io con la chitarra perché sono estremamente stimolanti per un discorso serio su certe cose… Volentieri ti accenno alla presentazione di Si chiamava Gesù come è avvenuta nel corso della trasmissione del 28 febbraio… Dopo aver presentato la città di oggi con Il ragazzo della via Gluck, abbiamo voluto aprire come una finestra nel cuore di uno che pensa, dentro a queste case di cemento, senza più le corse sui prati, il canto del vento e la luce delle stelle. E abbiamo parlato della tua canzone con queste testuali parole: Un uomo chiamato Gesù è venuto da molto lontano, accendendo le stelle e ha alzato nella notte una tenda fra le nostre tende silenziose e morte, sotto i cedri e gli ulivi dì Betlemme. È venuto a dire la sua storia delle nostre generazioni. Anche chi, come l’autore della seguente canzone, crede che Gesù fu solo un uomo, rimane inchiodato dalla sua testimonianza di vita. Non era che un uomo… ma prese la terra per mano, pianse l’addio prima di partire e fu fedele fino in fondo all’Amore. Di Fabrizio De André ascoltiamo Si chiama Gesù. Canta l’autore.”… Fu una bella trasmissione – continua la lettera -. Pensa che quasi subito ci ha telefonato il redattore di un noto settimanale perché voleva sapere esattamente che cosa pensavamo della canzone e si meravigliava molto che noi l’apprezzassimo… Naturalmente quando riprendendo le trasmissioni dopo la Quaresima, io inserirò o farò inserire dai miei colleghi che curano la trasmissione stessa, altre tue canzoni…”
La lettera, inutile sottolinearlo, mi lascia di stucco.
«E questo non è niente», continua Fabrizio De André. «Pensa che mi hanno avvertito che nel corso dell’incontro internazionale dell’UNDA a Montecarlo, la “Pro Civitate Chri-stiana”, ha dato a Padre Gonzales, direttore delle trasmissioni religiose dello Stato di El Salvador dell’America Latina, le quattro trasmissioni con le mie canzoni, per poterle ritrasmettere sulla rete radiotelevisiva di quello Stato. Un bel successo, se si tiene conto che in Italia i miei pezzi sono “proibiti”…» termina ironicamente il cantante.
«Si diceva che avresti preso parte alla trasmissione Quelli della domenica. Che c’è di vero?»
«Sì», risponde Fabrizio «in un primo tempo avevo deciso di parteciparvi, anche perché il presentatore, Paolo Villaggio, è un amico mio da moltissimi anni. Con lui ho scritto Carlo Martello ed altre canzoni».
Gli mancano otto esami per la laurea
«Ho detto di no» continua Fabrizio «quando la televisione mi ha imposto certe condizioni. Volevano che cantassi solo Marinella. Io invece volevo cantare Si chiamava Gesù e Preghiera in gennaio; quelle, insomma, trasmesse dalla Radio Vaticana. Mi hanno risposto che non era possibile perché erano state bocciate dalla commissione dì ascolto ed allora ho detto no anche alla televisione».
«È vero che non vuoi fare le “serate”? Non ti interessano i soldi?»
«Be’… non dico che i soldi non mi interessino… anzi, penso che il denaro interessi un po’ tutti, io compreso. Voglio sottolineare un altro fatto. Io non sono un cantante-attore. Per fare le serate ci vuole preparazione, grinta e verve. Tutte qualità che io non possiedo. E non intendo certo mettermi a studiare recitazione…! Pensa che mi mancano otto esami a laurearmi in legge e provo fatica anche a sostenere quelli. Se dovessi accettare due-trecento-mila lire per cantare in un locale, mi farebbe l’impressione di averli rubati. Nei locali canto quando ne ho voglia, con gli amici, gratuitamente, senza alcun impegno professionale».
I genitori vivono in una villa favolosa
Fabrizio De André si alza e si avvicina alla finestra, gettando un’occhiata distratta verso il mare.
«Standoci spesso», esclama «si perde il senso della bellezza di questo paesaggio. Be’, che ne diresti se andassimo a casa di mio padre? Facciamo due passi».
Annuisco e usciamo in strada.
I genitori di De André abitano in una villa del ‘700, in collina. La città si distende sotto le volte antiche, uno sfondo favoloso al giardino, dove si allineano aiuole e siepi di bosso. Si chiama “Villa Paradiso”. È in tutti i testi di architettura e di storia dell’arte.
Chiedo al cantante perché preferisce vivere nell’appartamento in città, piuttosto che in quella villa di fiaba.
«È più forte di me», mi risponde dopo alcuni istanti. «Voglio essere solo, indipendente, con la mia famiglia. Qui, da mio padre, ci vengo ogni tanto, a passeggiare, a scoprire i ricordi della mia infanzia. Ora ci viene Cristiano, mio figlio. È giusto che veda e apprezzi la bellezza di tutto questo».
Superiamo il cancello e giungiamo davanti alla costruzione. Si apre il portone d’ingresso e ne sbuca una figuretta con un giacchettino blu e pantaloncini rossi. È il figlio del cantante. Si corrono incontro e Fabrizio lo prende in braccio. Insieme si avviano verso la balaustra che cinge il giardino. Sul fondo la città e più in là il porto con le braccia smisurate delle sue gru e, infine, il mare. Una leggera brezza scompiglia i loro capelli.
Mi metto da una parte e osservo. Capisco finalmente perché nascono canzoni come Marinella e Si chiamava Gesù.
[fonte: Bolero Teletutto, 1968 – Attilio Neri]