Il propellente dell’economia capitalistica è la domanda aggregata, ossia l’insieme di beni e servizi richiesti (sia dal mercato interno, sia da quello estero). Senza di essa non ci sarebbe lo stimolo a produrre. Mancando la prospettiva di collocare i propri prodotti nessun imprenditore avrebbe la convenienza e la spinta ad investire. Le aziende non avrebbero neanche motivo di esistere. La Grande Depressione fu proprio dovuta alla mancanza di domanda. I prodotti rimanevano invenduti e gli imprenditori, per far quadrare i conti, licenziavano e riducevano le loro produzioni. Ma, a causa del maggior numero di disoccupati, la domanda diminuiva ancora e il sistema si avvitava sempre di più su se stesso. Se ne uscì quando lo Stato iniziò a spendere e quindi a sostenere la domanda.
Dagli anni Ottanta sta prevalendo la dottrina Neoliberista. La domanda deve sostenersi senza l’intervento dello Stato. Il mercato trova da solo la strada per stimolarla. Tutto è affidato al prezzo, che dovrà far coincidere domanda e offerta. Il mercato veramente libero, spinto dall’egoismo degli individui e dalla contrapposizione degli interessi, si autoregola, tende all’equilibrio e alla piena occupazione. Così dice il pensiero dominante al momento. Spinti da queste convinzioni, abbiamo creato un sistema Low cost, dove i bassi prezzi invogliano al consumo e dove la concorrenza dovrebbe portare alla più ampia diffusione del benessere. Lo slogan potrebbe essere: “Senza interventi e controlli statali tutto funziona meglio”.
Questa esasperata contrapposizione e il rifiuto di controlli, però, non sembrano aver portato i benefici sperati. La crisi finanziaria, dovuta proprio alla deregolamentazione, si è trasformata in recessione economica, industriale, sociale (le convinzioni dottrinarie, però, sono state messe da parte e gli Stati sono intervenuti per salvare chi aveva provocato la crisi).
Per assicurarsi una maggior domanda si ricorre anche all’obsolescenza programmata. Molti prodotti sono costruiti per durare solo qualche anno. Nulla deve durare, nulla si deve riparare e tutto deve costare poco. TV, computer, elettrodomestici, mobili, vestiti, devono essere cambiati sempre più frequentemente.
I prodotti costano poco, durano poco e vengono rapidamente superati dal galoppare della tecnologia. Quando si rompono, non si riparano più, ma si cambiano. Si sostituiscono con un altro più performante ed economico. I prodotti sono sviliti, svalutati. Escono dalla fabbrica che sono già superati, già vecchi. E il lavoro che serve a produrli fa la stessa fine. Assume il valore e l’importanza degli oggetti che produce.
In questo contesto, il lavoro non è più separato dai mezzi di produzione, ma viene accumunato ad essi. Diviene esso stesso mezzo di produzione e come tale va trattato. Nell’economia globalizzata, il lavoro si acquista dove costa meno. E le fabbriche si spostano di conseguenza.
La retribuzione non deve più assicurare “un’esistenza libera e dignitosa”, non deve essere più “proporzionale alla quantità e qualità dei beni prodotti o del lavoro svolto”, ma deve obbedire solo alle regole del mercato e, quindi, competere con i salari del mercato globale, con quelli cinesi, sudamericani e dell’est europeo.
Il lavoro è divenuto talmente marginale a tutto il ciclo produttivo che i disoccupati non diminuiscono neanche quando parte la ripresa economica. Una volta che un’azienda si è liberata di un certo numero di dipendenti, non li riassume neanche quando gli ordini e il fatturato tornano a crescere. E’ lo sviluppo senza occupazione.
Il modello usa-getta-compra, molto spesso, ci viene imposto dai paesi dove la manodopera costa poco e dove i diritti dei lavoratori sono inesistenti. Accettandolo si riconosce come ineluttabile, oltre allo svilimento del lavoro, anche quello dell’essere umano.
La soluzione deve essere politica ed economica, e va cercata, in ambito comunitario, fuori dal modello neoliberista e dalla dittatura del solo mercato. Anche perché nell’attuale mercato mondiale alcuni operatori traggono un ingiusto vantaggio, in termini di costi, dal mancato rispetto dei diritti umani e dell’ambiente.
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grazie marco due begli articoli che riportano all’attenzione temi e problemi seri di cui politica e società civile si dovrebbero occupare!