Italia, patria dell’Alta Moda? Tralasciando il fastidio che un’affermazione del genere potrebbe provocare ai francesi, c’è un settore della nostra cultura nazionalpopolare – il fumetto – che sembrerebbe contraddire questa affermazione. O forse no? Grandi maestri del fumetto, Crepax in primis, curavano in maniera maniacale l’abbigliamento dei propri eroi (be’, Crepax si concentrava molto anche sull’anatomia femminile…). Altri si limitavano a piccole variazioni nel vestiario. Due esempi? Presto detto: Corto Maltese costretto in un’uniforme marinaresca per buona parte delle sue avventure, Alan Ford ingabbiato in un dolcevita nero alla Mastroianni. Poi ci sono gli eroi Bonelli che non si cambiano mai d’abito. C’è Dylan Dog con i suoi jeans, la camicia rossa, la giacca nera e le Clarks, Nathan Never con il suo soprabito da investigatore vecchio stile, Tex con la camicia gialla (anche se, ai primordi, era rosa), ecc., ecc. Bonelli, senza ombra di dubbio l’editore di massa per eccellenza del fumetto 100% made in Italy, ha imposto questa strana usanza dell’abito unico (frutto forse dei vincoli arcaici del linguaggio del fumetto) che sfugge alla comprensione razionale dei semplici lettori. Possibile che il buon investigatore dell’incubo non abbia mai pensato che, tanto per cambiare, la camicia avrebbe potuto pure mettersela bianca? Possibile che gli stilisti del Bel Paese non si siano mai interessati a questa tremenda e gravissima problematica? La nostra domanda da semplici lettori è: perché? Aiutateci a denunciare questo scempio, suggeriteci altri casi meritevoli di censura.
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