Keynes, dopo essere stato rimosso dal dibattito economico per anni, pare tornato di gran moda. In molti invocano il ritorno ai suoi strumenti di intervento sull’economia per frenare la crisi e risanare il capitalismo mondiale. Una vendetta consumata a distanza, molti anni dopo la crisi petrolifera degli anni ’70 che aveva messo in ginocchio le sue teorie economiche. Oggi il piccolo risparmiatore vuole più garanzie e non le può più trovare più nelle banche, per questo chiede l’intervento della “mano pubblica”.
Ripubblichiamo un bellissimo pezzo del Sole 24 Ore che immagina un dialogo tra Keynes e Schumpeter sull’attuale crisi dei mercati finanziari.
La crisi del secolo, il terremoto finanziario, lo tsunami dell’economia, la peggiore convulsione dal ’29… Quanto è grave la situazione? Forse gli astanti di questo settembre 2008 sono troppo invischiati e assordati per vederci chiaro. Può essere utile, allora, chiedere lumi a chi possa vedere le cose con occhio più distaccato. Il Sole 24 Ore ha provato ad ascoltare due “magni” economisti: il primo, John Maynard Keynes (JMK), è stato definito l’economista più importante del XX secolo, e il secondo, Joseph Schumpeter (JS), è stato definito (da J. Bradford DeLong) il più importante economista del XXI secolo: un titolo lusinghiero per chi è nato nel XIX… Ma prima è d’uopo chiedere a Schumpeter che effetto gli fa essere definito l’economista più importante del XXI secolo.
JS – Beh, un giorno dissi che la mia ambizione era quella di diventare il più grande cavaliere, il più grande amante e il più grande economista d’Europa. Più tardi aggiunsi, senza specificare, che avevo realizzato due delle mie tre ambizioni…
JMK- Non vogliamo sapere quale delle tre è rimasta fuori. Ma parliamo piuttosto di questa crisi. Quel che sta succedendo fra le banche mi ricorda un mio sfogo del 1945 – un anno prima del mio trapasso, quasi un testamento… – a proposito della necessità di rinnovare l’imbelle classe imprenditoriale inglese: «Se per qualche sprovveduto equivoco geografico le forze aeree americane – è ormai troppo tardi per sperare qualcosa dai tedeschi – potessero distruggere ogni fabbrica nella costa del Nord Est e nel Lancashire (in un’ora in cui dentro ci sono solo i manager e nessun altro) non avremmo niente da temere. Non vedo come potremmo altrimenti riguadagnare quell’esuberante inesperienza che è necessaria, sembra, per aver successo…». Non possiamo confidare nel “fuoco amico” questa volta: ma è uguale la necessità di far fuori una classe di banchieri e finanzieri che han giocato con i fiammiferi nella Santabarbara della finanza.
JS – Se fai fuori questi ne verranno altri, e prima o poi ci saranno altre crisi. Ma le crisi sono fatte per crescere. Così come i cicli dell’economia «non sono come le tonsille, cose separate che possono essere curate da sole, sono come il battito del cuore, e appartengono all’essenza dell’organismo», anche le crisi finanziarie sono il modo con cui l’organismo si sbarazza delle tossine accumulate nell’euforia. Non bisogna averne paura, bisogna guardare al dopo, al mare calmo dopo la tempesta.
JMK – È facile dire, con Mark Twain, che prima o poi ha sempre smesso di piovere. Ma «gli economisti si danno un compito troppo facile e troppo inutile se nella stagione delle tempeste son solo capaci di dire che quando l’uragano finisce l’oceano tornerà piatto».
JS – Caro Maynard, capisco che quando io parlo di “distruzione creativa”, la mia sembra essere solo una consolazione, un cataplasma sulle ferite della crisi. Ma tutto quel che è successo da cent’anni a questa parte conferma la mia tesi. Fin che ci saranno invenzioni, innovazioni, voglia di fare, sane avidità, braccia operose e cervelli attivi, la capacità inesauribile di creare e produrre si sposerà con i bisogni inesauribili dell’uomo, e l’economia andrà avanti, senza farsi spaventare da queste miserabili crisi.
JMK – Caro Joseph, sono tanto d’accordo che sono stato io il primo a coniare le parole possenti degli animal spirits.
JS – Io li avevo già chiamati Unternehmergeist, “anime fiere”.
JMK – E non mi faccio spaventare da tanta effervescenza speculativa che ha gonfiato la bolla del credito prima che scoppiasse la crisi dei mutui. Ma, se è vero che «gli speculatori non fanno danno se sono bollicine sulla corrente dell’intrapresa» è anche vero che «le cose si fanno serie quando l’impresa diventa la bolla in un gorgo di speculazione. Quando lo sviluppo finanziario di un Paese diventa il sottoprodotto delle attività di un casinò, viene fuori un lavoro fatto male. Se misuriamo il successo di Wall Street come un’istituzione la cui funzione sociale è quella di incanalare l’investimento negli impieghi più produttivi, dobbiamo concludere che Wall Street non è stato un grande trionfo del capitalismo alla laissez faire».
JS – Ma l’impresa è stata veramente danneggiata da questa crisi nei piani alti della finanza? Quando ci hanno istruiti su quel che è successo negli anni di grazia 2007 e 2008, la parola più ricorrente era quella del credit crunch, la stretta creditizia. Ma se prima c’era stato un eccesso di credito a (troppo) buon mercato, la stretta non è una disgrazia ma una medicina.
JMK – Sono d’accordo, e da questo punto di vista, a guardare quelle cose scomode che sono i fatti e i numeri, la stretta c’è stata solo per i prestiti e gli impieghi che giravano vorticosamente all’interno del settore finanziario. Se una società finanziaria si fa dare soldi a breve dalle banche per lucrare sulle differenze fra tassi corti e lunghi, questa non è un’attività produttiva. Il credito alle attività produttive non è stato fatto mancare e non ci sono ragioni perché manchi in futuro.
JS – Ai nostri tempi non c’erano i capital ratios delle banche, e nessuno aveva inventato cartolarizzazioni, Cdo, Cdo al quadrato e mutui Alt-A. A proposito, tu hai capito come funzionano tutti questi congegni?
JMK – Devo confessare che c’è qualcosa che mi sfugge. Al che mi sentirei di fare una raccomandazione a investitori grandi e piccoli: se non capite bene come funziona uno strumento finanziario, non lo comprate. La finanza deve tornare a dire pane al pane e vino al vino.
JS – Non esageriamo, la complessità è un portato dell’intelligenza creativa. L’innovazione finanziaria è utile, tutto sta a saperla usare nel modo giusto. E se ben mi ricordo, anche tu devi aver comprato qualcosa che ti è scoppiato in mano. Dopo il ’29 le tue finanze erano ridotte al lumicino.
JMK – Confesso di sì, e ricordo ancora come Lydia fosse sconvolta quando dovemmo vendere il Deshabillée di Matisse e uno “studio” di Seurat. Ma poi mi rifeci, da buon speculatore.
JS – Noi continuiamo amabilmente a chiacchierare mentre i mercati soffrono e la gente si chiede che cosa succederà. Le Banche centrali – domanda da mille miliardi di dollari – ce la faranno ad arginare il panico?
JMK – Devo confessare che non riesco a preoccuparmi molto per questa finanza sgonfiata. Resteranno sul campo un po’ di morti e feriti, ci saranno consolidamenti e ristrutturazioni, i fondi sovrani e i fondi-avvoltoio (a cominciare da quello di 700 miliardi di dollari annunciato dal governo Usa) faranno qualche buon affare, alcuni tossici livelli di complessità spariranno dalla panoplia degli strumenti finanziari, molti azionisti di banche perderanno un sacco di soldi e molti banchieri perderanno il posto. E allora? Come l’Araba fenice, il sistema finanziario risorgerà e, a differenza dell’Araba fenice, risorgerà senza essere morto. E sarà sottoposto a una migliore regolazione, se non altro perché il sistema di regolazione in America è su un “pessimo paretiano”: qualsiasi cambiamento non può che essere per il meglio.
JS – In effetti, tutti piangono sui bilanci delle banche. Ma i numeri dei bilanci, ha detto qualcuno, sono come i bikini: quello che rivelano è importante ma quello che nascondono è vitale. Quel che è nascosto dalle minusvalenze sono quei profitti dell’ordinaria gestione che sono invece portati alla luce dalla contabilità nazionale; e gli ultimi dati ci dicono che il sistema finanziario americano continua ad avere le spalle robuste. La distruzione creativa funziona anche per loro. E nel mio piccolo, so qualcosa di dissesti bancari: dal 1921 al 1924 ero presidente di una piccola banca viennese, che andò a gambe all’aria.
JMK – Ho detto che non mi preoccupa la finanza sgonfiata, e ho fiducia nelle autorità monetarie americane, che hanno la fantasia e la capacità per tenere assieme il sistema finanziario. Quella che mi preoccupa è la crisi reale, non quella finanziaria. Se i prezzi delle case continuano a scendere, le famiglie tirano in barca i remi della spesa e l’economia rischia una vera recessione. Ha fatto bene il Governo Usa a mettere in opera delle misure, con modestia parlando, keynesiane. Questo tipo di misure a te non piace: le criticasti quando furono adottate nel 1933.
JS – Forse perché neanche la crisi reale mi preoccupa molto. Sarei angosciato solo se ci fossero segni che consumatori e produttori hanno perso capacità di reagire. Ma sono loro che continuano a tenere le chiavi del fare e del consumare, e tutto quello che vedo mi dice che hanno voglia di usarle per aprire di nuovo gli usci della crescita. Questo è vero nei Paesi “vecchi” ed è ancor più vero per i Paesi emergenti. Non avrei mai immaginato che in una generazione il mondo avrebbe visto un raddoppio della forza lavoro fra vecchie e nuove economie di mercato. C’è un pavimento solido per il tasso di crescita dell’economia mondiale.
JMK – Vedo che ti piace l’economia di mercato. Ma nel 1947 – io già non c’ero più – scrivesti: «Può sopravvivere il capitalismo? No, non penso che possa…».
JS – Quella era una provocazione… Era una previsione, non un auspicio. «Se un dottore predice che il suo paziente morirà, questo non vuol dire che se lo augura».
JMK – Ma nel 1919, tu, il cantore dell’iniziativa imprenditoriale, accettasti di diventare membro della Commissione per la socializzazione delle industrie tedesche.
JS – Mi sono già difeso da questa accusa. Dissi: «Se qualcuno vuole suicidarsi, è meglio avere vicino un medico».
SCHEDA
JMK – John Maynard Keynes Il teorico dell’intervento I contributi di John Maynard Keynes (1883-1946) alla teoria economica hanno dato origine a quella che è stata definita “rivoluzione keynesiana”. Per l’economista britannico, è necessario l’intervento pubblico con misure di politica monetaria e di bilancio se un’insufficiente domanda non riesce a garantire la piena occupazione
JS – Joseph Alois SchumpeterL’economista dello sviluppo dinamico L’austriaco Joseph Alois Schumpeter (1883-1950) è conosciuto come il teorico del cambiamento del sistema economico. Le fasi di trasformazione sotto la spinta di innovazioni maggiori vengono da lui definite «distruzione creativa».
Tra i suoi allievi, il Nobel Paul Samuelson e l’italiano Paolo Sylos Labini
[fonte: Il Sole 24 Ore]