Candido Cannavò ci ha lasciato. A 78 anni si spegne un simbolo del giornalismo sportivo italiano, per 19 anni direttore della Gazzetta dello Sport. Con lui scompare uno degli ultimi avanposti del giornalismo sportivo gentile e elegante, cortese e spiritoso, disinteressato, privo di grida e violenza verbale. Domenica 22 Febbraio è previsto in suo onore un minuto di silenzio su tutti i campi di calcio.
Ha iniziato come giornalista sportivo ne La Sicilia a diciannove anni. Dal 1952 al 1955 ha ricoperto la carica di presidente del Cus Catania. Nel 1955 è stato ingaggiato come corrispondente da La Gazzetta dello Sport. Successivamente è diventato inviato speciale e, tra le manifestazioni di cui si è occupato, si ricordano alcuni Mondiali di calcio, ben 9 Olimpiadi e moltissimi Giri d’Italia.
Nel 1981 è diventato vicedirettore, poi condirettore e nel 1983 è succeduto a Gino Palumbo come direttore responsabile del quotidiano. È rimasto in carica 19 anni, fino al 2002, quando è stato sostituito da Pietro Calabrese. Durante la sua carica, la Gazzetta dello Sport si è consolidata come maggiore giornale italiano, ha iniziato la pubblicazione del settimanale Sportweek e ha aperto il proprio sito web. È stato opinionista (sempre per la Gazzetta) e ha curato le rubriche Candidamente e Fatemi capire. Il figlio Alessandro, anch’egli giornalista, lavora come redattore capo al Corriere della Sera.
Il suo impegno è andato al di là dello sport. Da sempre si è occupato dei problemi della società, soprattutto della sua terra, e da quando ha smesso di dirigere la Gazzetta dello Sport ha pubblicato la sua biografia e tre saggi, che narrano la situazione delle prigioni italiane, dei disabili e dei senzatetto.
Tra le sue opere ricordiamo Una vita in rosa, (Rizzoli, 2002), Libertà dietro le sbarre, (Rizzoli, 2004), E li chiamano disabili, (Rizzoli, 2005), Pretacci. Storie di uomini che portano il Vangelo sul marciapiede, (Rizzoli, 2008)
Fonte: wikipedia