Il progetto Ocse è divenuto in questi anni il punto di riferimento internazionale sulla questione dei paradisi fiscali. Nel 1998 l’Organizzazione pubblicava un rapporto sulla concorrenza fiscale dannosa intitolato “Harmful Tax Competition: An Emerging Global Issue”. Dove si distingue tra “paradisi fiscali” (tax heavens) e “regimi fiscali preferenziali dannosi” (harmful preferential tax regimes).
Regimi fiscali preferenziali ce ne sono tanti e, a certe condizioni, possono provocare una competizione fiscale dannosa. Ma i veri e propri paradisi fiscali non si caratterizzano solo per il basso o nullo livello di tassazione – come sembra ritenere il segretario al Tesoro Usa. Ai fini della loro individuazione, infatti, il rapporto elenca alcune condizioni: nessuna tassazione (ovvero livello di tassazione effettivo solo nominale); assenza di un effettivo scambio di informazioni con altri Stati e mancanza assoluta di trasparenza. A questo si collega anche la mancata cooperazione nella lotta al riciclaggio di denaro sporco. Sulla base di questi criteri, l’Ocse individuava appunto 41 “giurisdizioni” (paesi o territori) definibili come veri e propri paradisi fiscali.
La lista dell’Ocse, una volta tanto, non aveva solo un carattere conoscitivo. Le linee guida del ’98 contro le pratiche fiscali dannose prevedevano infatti l’obbligo alla rimozione dei benefici ottenibili nei paradisi fiscali entro, al più tardi, il 31 dicembre 2005, pena sanzioni. Entro il 28 febbraio 2002 (scadenza poi prorogata alla metà di aprile) i paesi considerati tax heavens potevano inviare “Lettere di impegno anticipato” (Advance commitment letters), cioè lettere di intenti per superare le pratiche fiscali dannose, che erano considerate impegni ufficiali ed evitavano, se gli impegni erano mantenuti, le sanzioni punitive previste dal 2006.
Arriviamo dunque ad aprile 2009, al G20: il problema è di nuovo posto con forza dalla comunità internazionale. (Ndr)
Tra il 1999 e l’aprile 2002, trentaquattro dei 41 paesi hanno inviato Advance commitment letters. Restano quindi a rischio di sanzioni sette paradisi fiscali, che per vari motivi non hanno ritenuto di aderire alla richiesta Ocse: Andorra, Isole Marshall, Liberia, Liechtenstein, Nauru, Principato di Monaco e Vanuatu.
La lista italiana dei paesi a fiscalità privilegiata, rinnovata con decreto del ministro dell’Economia nel novembre 2005, è più ampia in realtà di quella dell’Ocse. Comprende infatti 50 paesi a pieno titolo e altri 19 per aspetti parziali. La normativa nazionale, però, si concentra soprattutto sui problemi dell’elusione fiscale; solo dalla Finanziaria 2000 è stata introdotta la diretta imputazione in capo alla società controllante dei redditi conseguiti da una controllata localizzata in un paradiso fiscale – il cosiddetto sistema delle controlled foreign companies, cui l’Italia è arrivata per ultima in Occidente.
Fonte: paradisi-fiscali.com