No, non avete letto male e non ci ha nemmeno dato di volta il cervello. Il motivo del bizzarro titolo di questo articolo è presto detto. Come tutti sanno il 25 aprile in Italia si celebra la liberazione dall’oppressione del regime nazifascista. Quel giorno – così come quelli immediatamente successivi – segnò una svolta epocale nella storia della nazione che, da dittatura quale era diventata, tornava violentemente a essere democrazia. Alla liberazione parteciparono molte forze tra cui, naturalmente, i partigiani di qualsiasi credo politico e religioso, ma soprattutto contribuirono gli italiani, il popolo. Giustamente in molti – aldilà di qualche patetico e anacronistico nostalgico del ventennio e di qualche ammiratore di Mussolini – rivendicano questa data come baluardo dell’unità nazionale. Ciononostante viviamo giorni di crisi e la gente ha fame. Due ottimi presupposti per imbastire una bell’inganno. I poveri (milionari) commercianti e imprenditori, hanno chiesto a gran voce di poter tenere aperti i loro esercizi anche il 25 aprile. Per quale motivo? Per vincere la crisi economica, naturalmente. Come? Con l’impressionante introito prodotto in un solo giorno lavorativo – sostengono loro – risolleveranno con decisione le finanze degli italiani (di quali italiani lo potete facilmente immaginare). Poco importa che una nazione ha il bisogno fisiologico di celebrare le proprie festività per mantenere la proria identità e memoria storica. La memoria non la si può mica vendere, giusto? Da destra e da sinistra in molti si trovano d’accordo sulla necessità di derogare la chiusura delle attività commerciali. Già perché la decisione di imporre la chiusura spetta ai singoli comuni e quindi, in questi giorni, assistiamo inermi alle scelte di ogni singola giunta comunale. Insomma, ci troviamo di fronte l’immagine di una nazione schizofrenica che decide in un modo a Milano e fa l’opposto a Monza, che tiene aperti i negozi a Roma e li chiude a Zagarolo. Tutto questo, ovviamente, per un incasso che come è ovvio godranno in pochi (i soliti). Ci si stupisce di questo ennesimo caso di “deregulation” preteso proprio con la scusa di far fronte a una crisi generata anche e soprattutto dall’assenza di regole dettate dalla politica. Ci si stupisce soprattutto della complicità di molte giunte comunali di sinistra che – di fronte al desolante panorama offerto dalle forze di governo (salvo rare e ammirevoli ecezioni. Leggi: Gianfranco Fini) che praticano dichiaratamente uno svuotamento dall’interno dell’identità dello Stato – non sanno fare altro che prestarsi all’ennesimo scempio. Uno dei significati della Resistenza era la volontà di non piegarsi a nessuna oppressione e pressione di qualsiasi natura per salvaguardare e riaffermare la dignità degli italiani. Di quegli anni Calamandrei diceva: «Era giunta l’ora di resistere; era giunta l’ora di essere uomini: di morire da uomini per vivere da uomini». Di questi anni invece cosa dovremmo dire? E’ finito il tempo di essere uomini, ormai siamo solo consumatori? Ma lo scandalo non finisce qui: dopo lo smantellamento del 25 aprile, assisteremo prossimamente alla messa in discussione persino del primo maggio. In fondo perché festeggiare i lavoratori, molto meglio ridurli in schiavitù.
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