Dopo aver sperimentato in viaggi precedenti le zampe di ragni fritte, la medusa ai ferri e la zuppa di occhi di pesce in gelatina (no, confesso che quest’ultima l’ho solo presa col cucchiaio per vedere l’orrore da vicino) oggi è la volta della cucina svedese. La guida ci avverte subito che in questo famosissimo ristorante di Stoccolma, aperto da poco e attesissimo da tutti da molti anni, data la fama dello chef, si mangerà l autentica cucina svedese. E con autentica- specifica – significa riproporre tutti quei piatti e quei sapori antichi che i popoli nordici del passato mettevano sulle loro tavole per sconfiggere il freddo degli inverni polari. Va bene, ci sto, mi dico, un po’ di renna o balena non ha mai ucciso nessuno, anzi saranno pieni di omega tre. E da qui, l’inizio della fine.
Il solerte cameriere propone un menu con traduzione in inglese ma… mi sento coraggiosa (o forse semplicemnete NON voglio sapere) e dunque gentilmente rifiuto e mi accingo a cercare di indovinare il mio destino mangereccio solo attraverso le mie papille gustative. Mi accontentano e la prima portata arriva subito: non sembra male, sì è un qualcosa avvolto nella gelatina che, personalmente non amo troppo, ma sembra commestibile. E infatti è così: il sapore è delicato, la consistenza morbida, deve essere una qualche carne bianca. Ci azzecco, sento un commensale che, dopo aver consultato il menu, annuncia che è tordo in gelatina e direi che per questo primo giro mi è andata bene. Vai col secondo: arriva una sorta di spinacio, più bianchiccio che verde direi, con dentro sembrano… mah… non saprei proprio… fagioli? Ad ogni modo la verdura mi piace e infatti scopro che questi ” licheni con tuorlo d’uovo d’anatra in salamonia” non sono male, forse un po’ salati. Mi viene da sorridere perché se avessi anche solo INTUITO la parola”salamonia” avrei lasciato lì il tutto, ma l’esperienza e i viaggi, per fortuna, mi hanno insegnato ad essere più aperta. Il terzo piatto viene presentato nientepopodimeno che dallo chef in persona (eh beh, la fortuna mi arride per una volta), e così prima di portare la forchetta alla bocca di quella che mi sembrava semplice ed invitante carne al pomodoro, lo chef annuncia che questo piatto, insieme al prossimo, sono le specialità della serata; nello specifico evito al volo le uova di salmone in sangue di maiale essicato.
Lo chef ritorna con ‘sta storia della gran sorpresa che segue con il prossimo piatto e ci guarda tutti praticamente galvanizzato. Poi, d’improvviso, tace. Penso che se ho saltato per miracolo il sangue essiccato forse vale la pena di provare questa gustosa “sorpresa”. In realtà spero in qualcosa di meno stravagante e magari di dolce. Ho sentito dire, infatti, che gli svedesi sono bravissimi coi dessert ai frutti di bosco. E già mi perdo in pensieri di tortuose voluttà alla crema pasticcera, fiocchi e cupole biancheggianti di panna e latte – chi se ne importa se è di renna, ho fame e sono golosa, a questo punto potrebbe essere pure latte di balena- e invece mi dicono che prima del dolce c’è ancora un piatto salato. Va bene aspetterò, anche perché, siceramente, questo piatto salato mi incuriosisce non poco, visto che viene portato in grandi barattoli e ha pure un nome simpatico che alle orecchie suona tipo “surtromming”. Boh, che sarà… ma… che succede?? Ho visto davvero il barattolo muoversi?? ma no, sarà uno scherzo della fame, penso. Ritorna lo chef. E con grandi gesti teatrali ci invita ad uscire, sì proprio ad USCIRE dal ristorante per poter gustare la prelibatezza al meglio. MAH, STRANE USANZE di qui, penso; forse vuole fare il romantico e gustarla sotto il cielo stellato. E dunque tutti, ubbidienti, usciamo in fila indiana e ci piazziamo in una sorta di cortiletto interno del ristorante dove è stato preparato un tavolo, dei piatti e delle forchette. Siamo lì, in attesa, e lo chef è decisamente elettrizzato: fa leva sulla linguetta del barattolo, manco fosse quella di una bomba a mano, ci guarda, aspetta e… sorride. E poi… accade. È prima un sibilo leggero, quasi un sussurro e vedo, in simultanea, il barattolo sgonfiarsi, quasi tirasse finalmente un bel respiro di sollievo. LUI, intendo il barattolo. Quel che vedo accartocciarsi, invece, è il viso del commensale più vicino: sbianca, si porta le mani prima al viso poi alla bocca, al naso, non sa più dove metterle, quelle mani! Poi, si abbatte su una sedia con aria verdognola e lì rimane, prostrato.
Presuontuosa mentalmente lo apostrofo: “Dio, come sei delicatino”. Non sono neppure arrivata alla METÀ del mio pensiero, quando vengo avvolta (e a questo punto direi aggredita) da un odore così terribile, ma così devastante che non posso descriverlo. Ci proverò, per amor di cronaca, ma il ricordo olfattivo ancora mi tormenta e mi devo un attimo affacciare alla finestra prima di continuare a descrivervelo. Insomma per restare sul fine, immaginate l’odore più schifoso che abbiate mai sentito: puzza di piedi liofilizzata, concerie marocchine a cielo aperto nel sole rovente d’agosto, fogna esplosa che fuoriesce da un tombino e… moltiplicate, moltiplicate all’infinito, finché il solo pensiero di quell’odore non vi lasci stecchiti sulla sedia. Se siete ancora lì, aggiungo che QUESTO È L’ODORE, ma non chiedemi nulla del sapore o anche questo articolo diventerà verdino come la vostra faccia. Avete fatto la conoscenza con l’ARINGA DEL BALTICO FERMENTATA. E con questo nome, credo di aver detto tutto. Ma non posso finire questo articolo senza fare almeno un tentativo per riconciliarvi con le vostre papille gustative: finalmente, dopo tanto sgomento, arriva il dolce, una delicatissima mousse – hurrà!- ai frutti di bosco accompagnata da uno spumeggiante champagne di betulla. Rinfrancata, faccio un brindisi a questa serata: viva la Svezia!